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n.3
maggio/giugno 2015

 

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Cristiani perseguitati
un crimine inaccettabile

 
di
GIANPAOLO SALVINI

 

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Con sempre maggiore insistenza si parla oggi, ormai quotidianamente, di persecuzioni religiose nel mondo e in particolare di quelle che colpiscono i cristiani. Non è che mancassero anche in passato, ma se ne parlava certamente di meno. Tendevano a non fare notizia.

In questi mesi si parla soprattutto di quelle compiute dagli estremisti islamici, anche perché sembrano avvicinarsi pericolosamente alle nostre frontiere, come avviene in Libia, sia perché toccano territori in cui infuriano sanguinose guerre civili, con migliaia di morti, nelle quali i conflitti etnici, religiosi, politici ed economici sono strettamente intrecciati tra loro.

E quindi se ne parla più spesso, come sempre avviene di fronte alle tragedie e alle stragi.

Ma in realtà le persecuzioni contro i cristiani non sono esclusive del mondo islamico. Il Paese più persecutorio nei confronti di tutti i credenti che non pratichino il culto del leader nazionale è oggi la Corea del Nord, dove nulla si sa dei circa 300.000 cristiani che vi dovrebbero esistere e dei quali almeno 40.000 sarebbero chiusi in campi di concentramento. Ma, al di fuori del mondo islamico, persecuzioni contro i cristiani ci sono anche in alcuni Stati dell'India, in Cina, in Vietnam, in altri Stati dell'Asia, in Messico e in altri Paesi latinoamericani dove i cristiani sono vittime dei narcotrafficanti ai quali vogliono opporsi anche in forza della loro fede. In passato i cristiani hanno subito dure persecuzioni durante la guerra civile in Spagna, nei Paesi comunisti, nel Messico laico e anticlericale, e in altri Paesi dove l'islam era inesistente. Inutile dire che con il termine «persecuzione» si intendono realtà molto diverse, che vanno da alcune discriminazioni, all'essere considerati cittadini di serie B anche in patria, a pressioni più o meno violente perché i seguaci di altre religioni si convertano alla fede dominante, a vere e proprie vessazioni, con arresti, espulsioni, torture e condanne a morte o assassini veri e propri.

È bene aggiungere che purtroppo la persecuzione non tocca soltanto i cristiani delle varie confessioni, ma anche credenti di altre religioni. Nelle guerre in atto in Medio Oriente, in Siria come in Iraq il maggior numero di morti è costituito da musulmani, uccisi da altri musulmani. Quanto avviene tra sciiti, sunniti, alauiti e altre sette islamiche, o i delitti compiuti contro i fedeli di altre religioni minoritarie (spesso legate a un'etnia pure

minoritaria) non ha nulla da invidiare alle lotte tra cattolici e protestanti che per secoli hanno dilaniato l'Europa, con guerre, devastazioni, deportazioni e condanne a morte. Le guerre tra sciiti e sunniti in Siria, Iraq e Paesi limitrofi hanno fatto più morti musulmani di quanti non ne siano morti nelle guerre con Israele.

Noi però qui parleremo quasi solo delle persecuzioni di cui sono oggetto i cristiani.

Secondo quanto dichiarato dal card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il numero dei cristiani perseguitati nel mondo oscilla tra 100 e 150 milioni ed è purtroppo una cifra in continuo aumento. Un'organizzazione di Washington (citata dal bel volume Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo, Mondadori, 2014) ha affermato che i cristiani sono sottoposti a qualche forma di vessazione in 139 Paesi, cioè in tre quarti degli Stati esistenti . L'80% di tutti gli atti di persecuzione religiosa è diretto contro i cristiani. Secondo un altro centro studi statunitense, esistono 16 Stati che hanno compiuto crimini «efferati e sistematici» contro la libertà religiosa, come arresti, torture e omicidi. Molte comunità religiose erano perseguitate in quei 16 Paesi, ma solo una era sotto attacco in tutte e 16, il cristianesimo. Secondo il Rapporto 2014 del noto «Aiuto alla Chiesa che soffre», in 55 Paesi dei 196 esaminati (cioè tutti) si nota un peggioramento della situazione dei gruppi religiosi, mentre soltanto in 6 si nota un miglioramento. L'estremismo islamico (benché condannato da tutte le più autorevoli istituzione religiose islamiche) sembra costituire attualmente il principale meccanismo di persecuzione. Basta citare i casi di Nigeria, Iraq, Siria, Libia, Repubblica Centroafricana, Sudan, Pakistan, Somalia, Eritrea ed Egitto. Ma, come si è già detto, la persecuzione non riguarda solo i Paesi a maggioranza musulmana.

Le statistiche sul numero delle vittime variano molto a seconda delle fonti sia perché molti Paesi persecutori non consentono indagini precise, sia perché il numero viene ingigantito o minimizzato a seconda del movente di chi compie le indagini. Si passa da un ucciso al giorno a un martire ogni ora. Secondo l'Ocse (un organismo che raggruppa tutti i Paesi più industrializzati del mondo) viene ucciso un cristiano ogni cinque minuti. C'è sempre il rischio di strumentalizzare le cifre per mobilitare l'opinione pubblica, impressionandola, o per tranquillizzarla mostrando che la situazione non è così tragica.

Nei casi più estremi si tende ad eliminare semplicemente la presenza dei cristiani da alcuni Paesi o da determinate zone nelle quali risiedono da millenni e in ogni caso da molto prima dei loro persecutori. Nella Turchia sudorientale, in una zona confinante con la Siria e oggi controllata dai curdi, all'inizio del Novecento, vivevano circa 500.000 cristiani di lingua aramaica (la lingua, secondo la tradizione, parlata da Gesù). All'inizio del nostro secolo non ne rimanevano che 2.500, destinati probabilmente a scomparire. Gli altri sono tutti morti o emigrati.

In molti Paesi l'apostasia dalla fede dominante o ufficiale è punita con la morte, in altre con discriminazioni, prigione e anche torture.

Le statistiche, pur così drammatiche, non fanno in genere molta impressione, perché astratte e senza volto. Così, in un mondo dell'immagine e della personificazione come il nostro, giornali e televisioni si impadroniscono di alcuni casi esemplari che finiscono per avere una risonanza  mondiale e si trovano al centro di intense campagne in difesa delle vittime. Cosa giusta, purché non faccia dimenticare le altre vittime. È il caso di Asia Bibi, una contadina pakistana, prima donna del suo Paese ad essere condannata a morte per blasfemia e tuttora detenuta perché accusata da alcuni vicini di aver offeso il profeta Maometto. Oppure quello di Meriam Yahia una sudanese di 27 anni condannata a morte per apostasia perché, figlia di un musulmano, era stata abbandonata dal padre e allevata da una etiope, cristiana, e aveva poi sposato un americano, pure cristiano, mentre per il tribunale islamico doveva professare la religione del padre. Dopo una vivace campagna internazionale, è stata infine liberata.

Perché le persecuzioni e perché il silenzio su di esse?

Il cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, praticata da circa un terzo della popolazione mondiale ed è quindi comprensibile che le vittime siano anche in numero maggiore. Oggi le zone in cui il cristianesimo cresce più rapidamente sono situate fuori dall'Occidente (dove la libertà religiosa è più garantita), e la sua espansione è vista come una minaccia o una forma di colonialismo. Così in Cina e nei Paesi africani in cui musulmani e cristiani sono a contatto tra loro e i primi vedono minacciata la loro posizione dominante o il loro proselitismo. Inoltre in molte nazioni i cristiani, oltre a costituire una minoranza religiosa, appartengono anche a minoranze etniche o culturali, così i gruppi birmani chin e karen, e in India i dalit (dei quali i più conosciuti sono i paria) che vedono nella fede cristiana (e nell'islam) uno strumento di promozione sociale e di emancipazione.

Di questa doppia persecuzione sono vittime spesso anche le donne, già discriminate (e prive di molti diritti) in tante culture perché donne e per di più perseguitate come cristiane. La diffusione del cristianesimo è vista come una contaminazione della cultura e della tradizione locale. Nell'antichità sembra che molte religioni riuscissero a convivere assai più pacificamente, ma è con l'arrivo di una religione che pretende di essere l'unica vera (come il cristianesimo e l'islam), con l'esclusione di tutte le altre, che comincia un'intolleranza più acuta. Anche se in Medio Oriente, le dominazioni araba, mongola e turca hanno lasciato sopravvivere fiorenti comunità cristiane ed ebraiche, anche se con restrizioni, ma che rischiano oggi l'eliminazione.

Infine i cristiani vengono spesso identificati con l'Occidente, anche se in realtà in molti Paesi occidentali il cristianesimo è ormai minoritario, almeno come pratica. Così tutti coloro che intendono combattere gli Stati Uniti o 'Europa (ex-continente colonialista), se la prendono con i cristiani del proprio Paese. Dimenticano così che i cristiani in quelle regioni hanno alle volte origini millenarie, ben precedenti all'arrivo degli occidentali, come nel caso dei cristiani della Mesopotamia, o dei cristiani indiani che risalgono al tempo di san Tommaso apostolo, secondo la tradizione. I musulmani che hanno incendiato chiese cristiane in Niger per protestare contro le vignette blasfeme di Charlie Hebdo hanno dimenticato che lo stesso settimanale aveva pubblicato vignette ben più offensive e dissacranti (al limite dell'osceno) nei confronti del cristianesimo e delle sue verità di fede.

In Occidente la Chiesa non viene difesa pubblicamente perché ritenuta colpevole di intolleranza e di aver promosso in passato persecuzioni contro le altre religioni (il che è vero, come ammise pubblicamente Giovanni Paolo II chiedendone perdono), di cui oggi pagherebbe il fio, e in secondo luogo perché si è ritenuto a lungo che la religione fosse ormai un fenomeno destinato a scomparire (o a ridursi a un fatto puramente privato) e che quindi non valesse la pena occuparsene troppo. La religione, invece, ha conosciuto negli ultimi decenni una ripresa impressionante, ormai da tutti riconosciuta e con essa ogni governante deve fare i conti. Spesso se ne parla poco perché le persecuzioni vengono subite in silenzio (non c'è quasi mai risposta violenta) e il silenzio e la mansuetudine non fanno notizia.

Cosa fare?

Di fronte a una situazione così drammatica, il primo compito è quello di accertare le vere cause delle persecuzioni, cause che spesso sono di natura economica, etnica, storica ecc. e che si avvalgono della religione come pretesto, anche perché la religione, purtroppo, ben si presta a fanatizzare gli animi e a creare delle vere e proprie «crociate». Tipico il caso della Nigeria, dove, secondo i vescovi, il contrasto originario è soprattutto tra i cristiani agricoltori e i musulmani, nomadi e allevatori, che intendono impadronirsi delle terre dei primi per il pascolo del proprio bestiame. Anche vari giudici pakistani si sono accorti che l'accusa di blasfemia serve spesso solo a regolare i conti con famiglie nemiche, o con vicini odiati.

In secondo luogo occorre mobilitare i responsabili delle religioni, tutti ormai (pare sinceramente) consapevoli che in nome di Dio non si può mai recare violenza ad altri. Dio è il Dio della pace, qualunque sia il suo nome, e in nome del proprio Dio si deve convincere, non vincere, come ripete instancabilmente Papa Francesco. In secondo luogo si devono muovere l'opinione pubblica e i relativi governi, sempre restii a intervenire se non sono in gioco i propri interessi economici. Il fatto che i cristiani, e i cattolici in particolare, siano perseguitati, è segno che la Chiesa è fedele all'insegnamento e all'esempio del suo Fondatore, pure perseguitato e crocifisso, ma è anche uno scandalo, in un tempo in cui si parla tanto di diritti umani: quello della libertà religiosa è uno dei primi, come tutti gli ultimi Papi hanno spesso ricordato. Papa Francesco, richiamando Giovanni Paolo II, ha parlato di «ecumenismo della sofferenza» ricordando le persecuzioni subite dagli ortodossi sotto il comunismo sovietico e da quanti hanno sofferto nei Lager nazisti per la loro fede o la loro razza.

Il singolo infatti può soffrire in silenzio e accettare il martirio, come hanno eroicamente fatto milioni di persone lungo la storia della Chiesa. Ma i governi e anche i singoli cittadini hanno il dovere di organizzarsi e di difendere i perseguitati perché questo è parte essenziale della loro responsabilità e del loro compito, anche se ogni violenza (giustificata se usata per legittima difesa) rende più violento il nostro mondo, chiamato invece a un clima di pace e di convinto rispetto reciproco, senza sentirsi minacciati da chi ha una fede diversa.

Giampaolo Salvini sj

La Civiltà Cattolica

Via di Porta Pinciana, 1

00187 Roma

 

 

 

 

 

 
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