n. 4
aprile 2002

 

Altri articoli disponibili

C'è un tempo per.....
C’è un tempo per demolire
e un tempo per costruire (Qo 3,3b)

di
Mariapia Bonanate

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Il secolo che abbiamo appena salutato è stato dominato da demolizioni e cancellazioni epocali. Ha visto guerre e olocausti che hanno raso al suolo città e paesi, eliminato fisicamente milioni di persone, nei lager nazisti e nei gulag sovietici, nei genocidi cambogiani. Eppure queste stragi erano nate da ideologie che volevano costruire realtà «migliori». I risultati sono oggi una memoria storica bagnata di sangue e di sofferenze immani. Demolire allora può essere pericoloso. Può provocare delle apocalissi, come la più recente, quella delle due Torri gemelle di New York e della guerra afghana. Se è un’azione irrazionale, slegata dagli individui e dalle loro esigenze, dal rispetto dei loro diritti. Se si identifica con il distruggere in modo indiscriminato.

Accade anche in privato. Nei confronti di noi stessi e di chi ci sta accanto. La rabbia, la violenza che fanno terreno bruciato in noi e attorno a noi.

Ma demolire può anche assumere un significato totalmente diverso da quello di un nichilismo che annienta. Il tempo per demolire del «Qohelet» non è il tempo della violenza assoluta, ma quello della rimozione. Della potatura dei rami secchi, della pulizia interiore ed esteriore, dell’abbattimento di barriere e di ostacoli che non permettono di crescere, di costruire. Un demolire che non perde mai di vista l’importanza centrale e fondamentale della persona umana, che ha come scopo proprio la salvezza di quest’ultima.

Mai forse come oggi abbiamo bisogno di un’azione di demolizione in questo senso. Perché mai come oggi siamo stati prigionieri dell’inutile, del superfluo, di idoli e di miti falsi e bugiardi. Oggi, tempo in cui è difficile scorgere la verità, la giustizia e la legalità sotto la montagna di situazioni, parole, immagini che ingannano per raggiungere interessi privati. Anni nei quali le forme esterne, le strutture, le stesse istituzioni si sono calcificate a tal punto da impedire il libero movimento dell’individuo, interiore ed esteriore, da renderlo schiavo di modelli e di abitudini imposte dalla civiltà mediatica e da una economia globale che impone crudeli regole. Non riusciamo più a pensare con la nostra testa, a distinguere il vero dal falso, abbagliati da un plagio quotidiano che ha sostituito le apparenze alla sostanza.

Diventa quindi indispensabile, per chi voglia rientrare in possesso di se stesso e delle proprie facoltà di giudizio e di distinzione, demolire questo apparato esterno che ha reso uomini e donne marionette della società dello spettacolo e della futilità. Offrirsi umilmente, lo annotava Etty Hillesum, «come un campo di battaglia» in cui si combattono i problemi nostri e del nostro tempo, si affrontano le falsità, si respingono i tradimenti e le finzioni, si cerca di ricuperare l’essenziale contro il superfluo.

Ci vuole umiltà e coraggio, perseveranza e tanta preghiera per fare questo. La potenza delle tenebre e del nemico che si veste con addobbi sfavillanti chiede una forza interiore che è conquista, sacrificio, eroismo quotidiano. La sensazione d’impotenza di fronte all’organizzazione della finzione e della menzogna, della sopraffazione, è una mina vagante che induce alla resa.

Ma sappiamo che se non avviene questa liberazione interiore, se non riusciamo a sottrarci alla rigidità e agli abusi di un quadro esistenziale che si manifesta nei rapporti di tutti i giorni, nel lavoro e nella vita pubblica e sociale, nella famiglia e nelle comunità, nelle istituzioni laiche e spesso anche in quelle religiose, non potremo mai entrare nel tempo del costruire.

Ancora Etty Hillesum, la ragazza ebrea morta ad Auschwitz e che sta diventando con il suo «Diario» la guida spirituale di migliaia di persone, scriveva nei tempi bui dell’olocausto: «Non so che cosa pensare. Con tutto il dolore che ho intorno, comincio a vergognarmi di prendere sul serio i miei umori. Eppure devi continuare a prenderti sul serio, devi rimanere il centro, e in qualche modo devi venire a capo dei fatti di questo mondo; in nessuna situazione puoi chiudere gli occhi, devi “confrontarti” con questi tempi orribili e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai una risposta non solo per te, ma anche per gli altri».

Trovare risposte per costruire un progetto di vita, per fare scelte limpide e coerenti, dignitose, rispettose delle meraviglie del creato. Cercare nella profondità nuda e spoglia del nostro io, divenuta capace di parlare con Dio e di ascoltare la sua voce nel silenzio della nostra anima ripulita del superfluo e dell’inutile, significa costruire anche per gli altri un mondo migliore.

Dare un aiuto non soltanto a se stessi, ma all’umanità tutta. Vuol dire diventare leggeri e puri, capaci di volare sulle ali di una speranza che diventa contagiosa, compie miracoli di cambiamenti interiori e di trasformazioni positive. Prepara un futuro in grado di contrapporre i valori dell’anima e del cuore, dei sentimenti e delle emozioni, della fantasia e dell’amore al regno del male e delle tenebre. Anche se queste ultime assumono il volto di un progresso scientifico e tecnologico che non rispetta più nessun limite e la piovra della totale mercificazione tenta di trasformare l’umanità in un esercito di automi.

 

Torna indietro