n. 2
febbraio 2003

 

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di Biancarosa Magliano
 

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"Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpito, e non c’è rimedio per noi?… Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità… Ma per il tuo nome non abbandonarci”. Sono alcune frasi della pericope, tratta dal libro del profeta Geremia, su cui si è soffermato Giovanni Paolo II l’11 dicembre del 2002 e che egli ha commentato, attualizzandole, durante la sua catechesi settimanale nell’aula Paolo VI. Il papa ha detto: “Oltre la spada e la fame, infatti, c’è una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità”. Parole dure queste di Giovanni Paolo II. Le parole della Scrittura si richiamavano al profeta Geremia, il quale lamentava la fame e l’angoscia del popolo d’Israele. Il grido angoscioso del papa era l’esternazione di una trepidazione per una guerra che sembrava imminente e per altre sconcertanti situazioni presenti sul nostro globo: fame, sfruttamenti insani, devastazioni, follie terroristiche. Proprio questo grido ha suscitato reazioni diverse. Quasi tutti i più diffusi quotidiani del giorno dopo ne hanno scritto con commenti ora più critici, altri più consenzienti; ora più immediati, altri più ragionati. C’è stato chi ha ammesso che era stata “come una frustrata lacerante l’immaginazione di quanti lo ascoltavano”. C’è chi ha scritto che il papa ha parlato questa volta con accenti molto più drammatici di quelli di altre volte. C’è stato chi non ha condiviso perché lo ha trovato come un ritorno al passato, al Vecchio Testamento…

Noi le accogliamo come parole di un anziano pontefice che ha la coscienza certa delle proprie responsabilità di successore di Pietro, che ama smisuratamente l’uomo e ama il mondo; che deve annunciare a ogni uomo e a ogni donna la buona notizia della salvezza offerta a tutti. Una salvezza che non è imposta, ma che deve essere accolta come dono e come opportunità. Parla “opportune et importune” scriveva Paolo a Timoteo.

Con altre parole, in altri termini, meno duri e meno tormentati, forse, lo stesso sentimento di angoscia e di dubbio, a volte spunta sulle labbra di molte religiose. Spunta sulle labbra perché è presente nel pensiero e nel cuore. Sembra quasi che esista, in alcune comunità, una certa usura, una certa stanchezza, un certo logorio. Si è usurata la vita di relazione, che comporta dialogo, condivisione di gioie e fatiche, di beni e bisogni, che richiede servizio e dono di sé, spesso senza la pur minima gratificazione. A volte è messo in discussione il proprio servizio apostolico o le modalità e lo stile con cui esso si compie. Sembra quasi che spunti qua e là un desiderio di evadere, di orientarsi ad altro, di rinchiudersi nel proprio limitato spazio, nei personali orizzonti; non si sfugge alla tentazione di tirare i remi in barca e ancorarsi sulla spiaggia.

Alcuni valori fondanti, anziché emergere con maggior forza, sembrano essere passati in penombra; sembra siano andati anch’essi soggetti alla legge del logoramento, come un progressivo cedimento della primitiva integrità.

Si è usurato l’entusiasmo degli anni più giovani. Si è usurata la spinta vocazionale. Si è smorzata la passione di altri tempi. E’ calato l’ardore e ci si accontenta facilmente di una vita addomesticata.

Le motivazioni possono essere molteplici. Certo, anche il passare degli anni può incidere. Ma il passare degli anni non dovrebbe caricare di una forza nuova, diversa, più ponderata e matura, ma non meno significativa? Certo, la diversità generazionale, perché pochi anni oggi, soprattutto avendo a disposizione e a portata di mano mezzi coinvolgenti come internet, possono significare decenni dei tempi andati. A questo si può aggiungere un certo soggettivismo e relativismo, per cui le interpretazioni sono maggiormente personalizzate e meno confrontate e condivise. Del resto conquiste e fallimenti sono alla portata di tutti.

Eppure no! La celebrazione della giornata della vita consacrata – 2 febbraio – potrebbe costituire un momento di ripensamento? Una opportunità per lanciarci al largo anziché rimanere sedentari sulla spiaggia? Uno dei relatori al Convegno su Internet: nuovo forum per comunicare il vangelo, organizzato a Roma dall’Ufficio delle Comunicazioni Sociali e dal Centro Studi dell’USMI nazionale, ha ripetuto più volte che, in un mondo in cui la vita di relazione è sfumata pur sentendosene una estrema esigenza, in cui molti valori hanno perso la loro significanza, chi ancora può dire qualcosa di significativo e capace di scuotere le coscienze e le intelligenze sono proprio le persone consacrate, le suore innanzitutto. “La vita religiosa, ha detto, è il paradigma che salverà l’umanità”. Non è giusto lasciarsi sfuggire una opportunità: questo nostro mondo, questi uomini e queste donne del nostro tempo, siano essi giovani o adulti, bimbi o anziani, ci chiedono un servizio di autenticità, donne e uomini dalla spiccata vita evangelica, perché autenticamente carica di senso dell’uomo.

Il profeta Isaia scriveva: “Il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio… non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta”. Se la partenza non era opera nostra, ma di colui che ci ha scelto, il rinnovamento, la rifondazione, come ama chiamarla qualcuno, non è meno opera di lui. S. Ippolito scriveva: “Vi prego, prestatemi molta attenzione: voglio ritornare alla fonte della vita e contemplare la sorgente di ogni rimedio”.

L’offerta fatta da Maria e Giuseppe, di quel Bimbo che è il Verbo fatto carne, esistente fin dal principio presso Dio, egli stesso Dio, rimanda a tutte le offerte di vita che oggi si rinnovano nel mondo. Lo conferma san Paolo quando scrive la sua Seconda Lettera a Timoteo: “Dio ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo”.

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