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Un
antico detto recita così: «Aprile, dolce dormire, l’uccello a cantare, l’albero
a fiorire…», quasi a sottolineare la vita che rinasce, rifiorisce, sboccia in
questo mese primaverile che dà nuovo slancio alla natura, perché con nuova
armonia si ammanti di colori e canti e suoni e nuova linfa vitale.
Anche noi – con l’inizio della nuova
stagione della primavera – ci rinnoviamo: l’importante è sapere in che modo ci
rinnoviamo e come superiamo, o abbandoniamo, la vecchia “pelle” per rivestirci
di quella nuova… Se in primavera il nostro corpo dorme più volentieri,
soprattutto all’alba, per ritemprarsi e ricaricarsi di nuova energia, anche il
nostro cuore dovrebbe essere capace di palpitare e dar vita a rinnovati
sentimenti di amore e di riconoscenza verso il Creatore – che ci dona una nuova
opportunità per rinascere nel corpo e nello spirito; – e verso il nostro
prossimo, che – con la sua diversità – ci aiuta a camminare e a superare le
difficoltà quotidiane, “obbligandoci” a misurarci con la consistenza della
nostra fede e con la capacità di accettazione di noi stesse e dell’altro/a, del
diverso/a, dell’imprevedibile…
Se ogni giorno facciamo un passettino in
questa direzione, allora realizzeremo la metanoia, cioè l’abbandono, come
ci suggerisce san Paolo, dell’uomo vecchio per rivestirci del nuovo, Cristo, e
diventare creature ri-nate, creature nuove. Se viviamo in forma nuova i rapporti
con noi stesse, con la natura, con le cose e, soprattutto, se viviamo i rapporti
umani e le relazioni in modo nuovo, che manifestino la novità di vita che è
sbocciata in noi, allora saremo sulla buona strada…, seguendo Cristo Via.
La parola del Signore può venire in aiuto
alla nostra fragilità, Gesù Verità, suggerendoci pensieri inediti, sentimenti
palpitanti, gesti e azioni che creano fraternità e sororità, che aiutano a
crescere e a uscire dal bozzolo che la sofferenza e le esperienze negative della
vita ci hanno creato intorno, per rivivere la vita nuova che ci viene donata
ogni momento. Solo così, da bruchi quali siamo, possiamo diventare, con
coraggio, farfalle, come ci vuole il Padre dei cieli, che da sempre ci invita a
nutrirci di Suo Figlio, Gesù Vita, per cristificarci e diventare persone
autentiche, originali e non copie o fotocopie di modelli stereotipati, alla
page.
Una domanda, a questo punto, può sorgere
spontanea: che cosa manca al nostro impegno quotidiano? Ci sentiamo bene nella
nostra pelle? Siamo segni facilmente decodificabili da chi ci incontra
quotidianamente? Sappiamo che la conversione del cuore è sempre necessaria, ma
dove cominciamo a rinnovarci, a convertirci?
Il libro del Siracide pone davanti ai nostri
occhi l’importanza della gioia per la nostra vita e per la nostra testimonianza
cristiana:
«Non abbandonarti alla tristezza,
non tormentarti con i tuoi pensieri.
La gioia del cuore è vita per l’uomo,
l’allegria di un uomo è lunga vita.
Distrai la tua anima, consola il tuo cuore,
tieni lontana la malinconia.
La malinconia ha rovinato molti,
da essa non si ricava nulla di buono.
Gelosia e ira accorciano i giorni,
la preoccupazione anticipa la vecchiaia.
Un cuore sereno è anche felice davanti ai cibi,
quello che mangia egli gusta».
(Sir 30,21-25)
San Paolo, però, ci consiglia di aspirare a
carismi più grandi, asserendo che egli ci mostrerà una via migliore di tutte (cfr.
1Cor,12,31).
E qual è questa via migliore? Essa è la via
della carità, la via dell’amore per Dio e per il prossimo. A questa via dobbiamo
rinascere, a questa via dobbiamo risvegliarci, a questa via dobbiamo dedicarci,
in questa via dobbiamo camminare e rifiorire, se vogliamo essere vere discepole
di Gesù e testimoni autentici del Suo amore per ogni creatura: per te, per me,
per la consorella e il confratello che mi vivono accanto, e che a volte possono
essere un po’ “pesanti”, per la/il superiora/e della tua comunità, per il povero
che bussa alla mia porta, ecc. ecc. Avendo ben presente nel cuore che:
«Se anche parlassi le lingue degli uomini e
degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un
cembalo che tintinna…»
«La carità è paziente, è benigna la carità; non è
invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non
cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non
gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7).
Se questa è la nostra carità, se siamo in
linea con gli insegnamenti dell’apostolo Paolo, se questi sono i sentimenti che
nutriamo nel nostro cuore e dai quali facciamo scaturire gli atteggiamenti e le
azioni di ogni giorno, se nelle nostre comunità circolano idee, atteggiamenti,
azioni, conversazioni ispirati al dono teologale della carità, allora felici
noi, beate noi, fortunate le comunità che vivono questa dimensione, perché in
esse è già primavera, in esse è già presente e operante la risurrezione di
Cristo, che fa di noi creature nuove, figlie predilette del Padre, sorelle
amanti dell’umanità, costruttrici di un mondo migliore, perché «Quando i bacini
dell’intendere e del volere sono gravidi di apertura al dono, la vita prorompe.
E sugli scogli delle nostre incertezze la Parola torna a camminare fra noi».
Ecco, gioiamo della nuova primavera, gioiamo
di essere vive, di amare. Rispondiamo con entusiasmo e convinzione alla chiamata
di rinascita a vita nuova, convinte che ogni giorno è Pasqua se compiamo il
passaggio dalla morte alla vita, dal rifiuto all’accettazione amorevole di
persone, noi comprese, avvenimenti, cose, riconoscendo con gratitudine la nuova
opportunità che ci viene offerta per abbandonare il ghiaccio del “nostro
scontento”, il freddo delle lamentele inutili, della mormorazione deleteria,
della tristezza vuota e inconsistente; il gelo dell’indifferenza e dell’accidia,
per impegnarci totalmente a favore degli altri, a fiorire nel posto in cui siamo
state piantate, a morire con Cristo per rinascere con Lui a Vita nuova.
Lo Spirito ci sprona continuamente a correre
sulle vie del Signore, amando tutti e tutte, vivendo in pienezza la nostra
vocazione e la nostra missione, testimoniando la gioia di appartenere al Dio di
Gesù Cristo, ad essere e a costruire con Lui la famiglia di Dio. Accogliamo
questo invito con coscienza ed entusiasmo, perché è questa la nostra strada,
questa è la nostra realizzazione. Unite, possiamo formare una catena d’amore e
di preghiera per difendere e umanizzare il mondo. Così, al tramonto della nostra
vita, senza alcun timore di essere giudicate sull’amore, andremo incontro al
nostro Padre celeste, perché nella Sua grande misericordia e bontà ci accolga,
per sempre, nel Suo regno.
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