n. 4
aprile 2004

 

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PORTICO

Come il Risorto...

di  Diana Papa

 

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Ricordo ancora oggi il volto trasparente di Frére Roger, quando, alcuni anni fa, a Taizé, avvicinandosi a un gruppo di giovani di cui facevo parte, disse: «Cristo risorto fa la gioia dell’uomo». Da quell’istante mi sono interrogata più volte sul senso del messaggio, soprattutto quando mi sono accorta che, a volte, manca la speranza non solo in chi è lontano ed arranca, ma anche in chi si pensa vicino al Signore e di fatto vive come se non avesse la fede.

Quanti sguardi tristi, a volte, si vedono nelle assemblee, quante fraternità e sororità sembrano cariche del peso di tutto il mondo e si presentano agli uomini e alle donne del nostro tempo senza vita, senza speranza.

I consacrati, e le consacrate, presi dalle cose da gestire, dai convegni, dagli incontri, dalle programmazioni, in favore dell’uomo, talvolta superano o disattendono le attese della persona concreta, reale, visibile, soprattutto quando trascurano l’incontro con il Signore. Allora finiscono col cercare nelle cose da fare i segni di speranza, vanno con Pietro e Giovanni (Gv 20,3-10) al sepolcro, per trovare il corpo del Signore.

Quando la fede vacilla, sperimentiamo nell’oggi l’affanno della corsa verso il sepolcro, spinti dal bisogno profondo di trovare il Signore, di individuare i segni del Risorto.

Giovanni, il discepolo prediletto, “vede e crede”(v. 8), mentre Pietro rimane perplesso di fronte all’accaduto. Entrambi, pur cercando il Signore, vivono l’avvenimento in un modo diverso. Li accomuna il desiderio di ripristinare la continuità nella relazione con Gesù, che è ormai sepolto. A loro interessa dare senso al presente, privo di speranza. Vivendo la frattura di una relazione, vengono in contatto con la morte della speranza, con il non esserci, con il non esistere.

Pietro e Giovanni, inchiodati all’esperienza umana di Cristo, sembrano galvanizzati da sentimenti nostalgici che distraggono dal qui e ora e che portano l’uomo a interrogarsi senza uno sguardo di fede. «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti» (v. 8). È proprio ciò che succede anche a noi, quando, oberate da molteplici attività, non sappiamo più chi siamo, per chi stiamo vivendo, perché facciamo delle cose.

La morte e risurrezione di Gesù è la prova di una relazione mai infranta, di un rapporto senza fine, è la testimonianza dell’esserci di Dio con amore, al di là del tempo e dello spazio, è il dono dell’eternità all’uomo che, pur staccandosi dalla relazione con lui, può contare su Dio, la fonte autentica della gioia di vivere.

Il mondo, oggi, ha bisogno di persone che vivono la speranza, che rimandano con segni visibili all’amore gratuito di Dio. Il nostro mondo desidera scoprire che è possibile vivere continuamente nella consapevolezza della presenza del Signore che si prende cura della persona. Vuole trovare un Dio che dà valore ai pensieri e ai sentimenti dell’uomo, un Dio che non compete con lui, né diluisce la sua realtà, anzi che lo accoglie con delicatezza.

È un mondo che ha bisogno di vedere la continuità della relazione tra Dio e l’uomo, per individuare i messaggi di speranza, i segni di risurrezione in chi assume, nella ferialità, i tratti di Cristo per le strade del mondo. Vuole percepire la gioia che il cristiano ha nel cuore, sostenuto dalla certezza che Dio non viene mai meno alla relazione con ogni sua creatura, perché egli c’è sempre.

Se la persona risorta con Cristo è una creatura nuova, ogni attimo della sua esistenza grida, con l’esplosione della vita, la sconfitta della morte. Se la nostra vita di consacrati non rimanda in ogni istante alla risurrezione di Cristo, la nostra esistenza è vana. Non può fermarsi la nostra vita di fede solo al venerdì santo, poiché, se «Cristo risorto fa la gioia dell’uomo», Cristo è la ragione della nostra gioia.

Se ci accompagna la certezza nella fede che Cristo è veramente risorto, gli altri, prossimi e lontani, si accorgeranno che la nostra vita è determinata dalla fede nella risurrezione del Figlio di Dio.

Come allora posso rendere visibile nella vita personale e comunitaria, con comportamenti verificabili, la risurrezione di Cristo?

Sono segno tangibile di risurrezione se scelgo di…

  •  liberare la vita donatami da Dio

  • stabilire relazioni non competitive e godere della presenza dell’altro/a che amo così com’è

  • considerare la mia e altrui esistenza un valore

  • portare vita nelle situazioni di morte

  • vivermi nella gioia alla luce della Vangelo, anche quando la spiritualità a cui faccio riferimento, privilegia la sofferenza vissuta da Cristo

  • leggere, interpretare e vivere ogni avvenimento alla presenza di Dio che veglia su ciascuno e sulla storia dell’umanità

  • aderire responsabilmente agli impegni assunti con la consacrazione

  • favorire la riconciliazione

  • chiedere e offrire il perdono

  • vivere una vita sobria, essenziale, trasparente ed essere felice

  • mettermi accanto ai fratelli, e alle sorelle, come una persona povera, per restituire loro la dignità umiliata

  • condividere il mio cammino di fede con i fratelli e le sorelle che il Signore mi dona.

  • assumere l’autorità, come servizio, per accompagnare i fratelli e le sorelle ad essere un Vangelo vivente

  • essere profondamente umana, attraversata dal soffio dello Spirito, dove ogni gesto è esplosione della vita di Dio che è in me e nella comunità

  • incarnare sine glossa, a livello personale e comunitario, il Vangelo

  •  donare la propria vita, come Gesù, perché gli altri siano felici.

 Vivere da risorti è, quindi, testimoniare, ancora oggi, la fedeltà di Dio per l’umanità, è ritornare dal sepolcro con la gioia nel cuore e con la certezza che Gesù ha vinto la morte. Essere segno di risurrezione è annunciare con la pienezza della propria vita che Dio illumina con il suo Spirito la storia dell’umanità e traccia per ogni persona la via dell’amore già percorsa da Cristo Gesù.

I consacrati, e le consacrate, sono chiamati ad essere in modo peculiare i testimoni del Risorto, possono ancora essere significativi per i propri contemporanei, quando testimoniano con la loro esistenza che Dio, l’Amore, insegna a strutturare il tempo nella speranza, attraverso una relazione senza interruzione, fondamento della gioia senza fine!

Diana Papa

   

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