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Ricordo
ancora oggi il volto trasparente di Frére Roger, quando, alcuni anni fa,
a Taizé, avvicinandosi a un gruppo di giovani di cui facevo parte,
disse: «Cristo risorto fa la gioia dell’uomo». Da quell’istante mi sono
interrogata più volte sul senso del messaggio, soprattutto quando mi
sono accorta che, a volte, manca la speranza non solo in chi è lontano
ed arranca, ma anche in chi si pensa vicino al Signore e di fatto vive
come se non avesse la fede.
Quanti
sguardi tristi, a volte, si vedono nelle assemblee, quante fraternità e
sororità sembrano cariche del peso di tutto il mondo e si presentano
agli uomini e alle donne del nostro tempo senza vita, senza speranza.
I consacrati, e le
consacrate, presi dalle cose da gestire, dai convegni, dagli incontri,
dalle programmazioni, in favore dell’uomo, talvolta superano o
disattendono le attese della persona concreta, reale, visibile,
soprattutto quando trascurano l’incontro con il Signore. Allora
finiscono col cercare nelle cose da fare i segni di speranza, vanno con
Pietro e Giovanni (Gv 20,3-10) al sepolcro, per trovare il corpo del
Signore.
Quando la
fede vacilla, sperimentiamo nell’oggi l’affanno della corsa verso il
sepolcro, spinti dal bisogno profondo di trovare il Signore, di
individuare i segni del Risorto.
Giovanni, il
discepolo prediletto, “vede e crede”(v. 8), mentre Pietro rimane
perplesso di fronte all’accaduto. Entrambi, pur cercando il Signore,
vivono l’avvenimento in un modo diverso. Li accomuna il desiderio di
ripristinare la continuità nella relazione con Gesù, che è ormai
sepolto. A loro interessa dare senso al presente, privo di speranza.
Vivendo la frattura di una relazione, vengono in contatto con la morte
della speranza, con il non esserci, con il non esistere.
Pietro e
Giovanni, inchiodati all’esperienza umana di Cristo, sembrano
galvanizzati da sentimenti nostalgici che distraggono dal qui e
ora e che portano l’uomo a interrogarsi senza uno sguardo di
fede. «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva
risuscitare dai morti» (v. 8). È proprio ciò che succede anche a noi,
quando, oberate da molteplici attività, non sappiamo più chi siamo, per
chi stiamo vivendo, perché facciamo delle cose.
La morte e
risurrezione di Gesù è la prova di una relazione mai infranta, di un
rapporto senza fine, è la testimonianza dell’esserci di Dio con amore,
al di là del tempo e dello spazio, è il dono dell’eternità all’uomo che,
pur staccandosi dalla relazione con lui, può contare su Dio, la fonte
autentica della gioia di vivere.
Il mondo,
oggi, ha bisogno di persone che vivono la speranza, che rimandano con
segni visibili all’amore gratuito di Dio. Il nostro mondo desidera
scoprire che è possibile vivere continuamente nella consapevolezza della
presenza del Signore che si prende cura della persona. Vuole trovare un
Dio che dà valore ai pensieri e ai sentimenti dell’uomo, un Dio che non
compete con lui, né diluisce la sua realtà, anzi che lo accoglie con
delicatezza.
È un mondo
che ha bisogno di vedere la continuità della relazione tra Dio e l’uomo,
per individuare i messaggi di speranza, i segni di risurrezione in chi
assume, nella ferialità, i tratti di Cristo per le strade del mondo.
Vuole percepire la gioia che il cristiano ha nel cuore, sostenuto dalla
certezza che Dio non viene mai meno alla relazione con ogni sua
creatura, perché egli c’è sempre.
Se la
persona risorta con Cristo è una creatura nuova, ogni attimo della sua
esistenza grida, con l’esplosione della vita, la sconfitta della morte.
Se la nostra vita di consacrati non rimanda in ogni istante alla
risurrezione di Cristo, la nostra esistenza è vana. Non può fermarsi la
nostra vita di fede solo al venerdì santo, poiché, se «Cristo risorto fa
la gioia dell’uomo», Cristo è la ragione della nostra gioia.
Se ci
accompagna la certezza nella fede che Cristo è veramente risorto, gli
altri, prossimi e lontani, si accorgeranno che la nostra vita è
determinata dalla fede nella risurrezione del Figlio di Dio.
Come allora
posso rendere visibile nella vita personale e comunitaria, con
comportamenti verificabili, la risurrezione di Cristo?
Sono segno
tangibile di risurrezione se scelgo di…
-
liberare
la vita donatami da Dio
-
stabilire
relazioni non competitive e godere della presenza dell’altro/a che amo
così com’è
-
considerare la mia e altrui esistenza un valore
-
portare
vita nelle situazioni di morte
-
vivermi
nella gioia alla luce della Vangelo, anche quando la spiritualità a
cui faccio riferimento, privilegia la sofferenza vissuta da Cristo
-
leggere,
interpretare e vivere ogni avvenimento alla presenza di Dio che veglia
su ciascuno e sulla storia dell’umanità
-
aderire
responsabilmente agli impegni assunti con la consacrazione
-
favorire
la riconciliazione
-
chiedere e
offrire il perdono
-
vivere una
vita sobria, essenziale, trasparente ed essere felice
-
mettermi
accanto ai fratelli, e alle sorelle, come una persona povera, per
restituire loro la dignità umiliata
-
condividere il mio cammino di fede con i fratelli e le sorelle che il
Signore mi dona.
-
assumere
l’autorità, come servizio, per accompagnare i fratelli e le sorelle ad
essere un Vangelo vivente
-
essere
profondamente umana, attraversata dal soffio dello Spirito, dove ogni
gesto è esplosione della vita di Dio che è in me e nella comunità
-
incarnare
sine glossa, a livello personale e comunitario, il Vangelo
-
donare la
propria vita, come Gesù, perché gli altri siano felici.
Vivere da
risorti è, quindi, testimoniare, ancora oggi, la fedeltà di Dio per
l’umanità, è ritornare dal sepolcro con la gioia nel cuore e con la
certezza che Gesù ha vinto la morte. Essere segno di risurrezione è
annunciare con la pienezza della propria vita che Dio illumina con il
suo Spirito la storia dell’umanità e traccia per ogni persona la via
dell’amore già percorsa da Cristo Gesù.
I
consacrati, e le consacrate, sono chiamati ad essere in modo peculiare i
testimoni del Risorto, possono ancora essere significativi per i propri
contemporanei, quando testimoniano con la loro esistenza che Dio,
l’Amore, insegna a strutturare il tempo nella speranza, attraverso una
relazione senza interruzione, fondamento della gioia senza fine!
Diana Papa
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