n. 4
aprile 2004

 

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L'acqua: bene comune dell'umanità
di Antonio Nanni*

 

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L'acqua è vita, è sorgente di vita. Senz’acqua non c’è vita: come tutti sappiamo, la prima immagine che si ha dello “Spirito di Dio”, nella Bibbia, è quella del vento divino che spira sulle acque primordiali del cosmo.

Come ha scritto Riccardo Petrella, l’acqua ha dato il nome del colore del nostro pianeta. Se il pianeta Marte è chiamato “pianeta rosso”, la Terra è il pianeta blu perché, vista dall’alto, dalle navicelle spaziali, essa appare come una palla blu sospesa nel cielo, ricoperta come è dall’acqua per circa il 72% della sua superficie globale.

Con l’aria e la luce del sole, l’acqua è uno dei tre elementi senza i quali non possiamo sopravvivere. L’acqua è, quindi, un bene comune dell’umanità. Da dove nasce la carenza d’acqua? Secondo alcune ricerche, la siccità dipende da quattro fattori: cambiamento degli ecosistemi derivante dalle attività umane; aumento demografico; crescita dei consumi pro-capite; inquinamento. La somma di queste pressioni sta portando in rosso il bilancio idrico del pianeta. Oggi 80 Paesi, con il 40% della popolazione mondiale, si trovano in una situazione di carenza d’acqua.

E il controllo delle sorgenti sta diventando motivo di tensione internazionale sempre più forte: l’acqua rischia di essere causa di guerra in varie aree del pianeta, a cominciare dal Medio Oriente (cfr. Vandana Shiva).

A rendere drammatico il quadro si aggiungono dati che raccontano che dei 2,7 miliardi di poveri (su 6 miliardi), 1,5 sono senza accesso all’acqua potabile sana; poi la gravità dei processi di devastazione dell’ecosistema Terra, in particolare delle risorse idriche (inquinamento e contaminazione dei fiumi, dei laghi, delle falde sotterranee, piogge acide, svuotamento e ingorgo delle falde, salinizzazione); infine i cambiamenti climatici, le inondazioni e siccità.

Oggi l’acqua è diventata un grosso affare per le multinazionali, che vedono in essa le potenzialità per un mercato sconfinato. La privatizzazione dei servizi idrici è il primo passo verso la privatizzazione dell’acqua. Aprire ai mercati può diventare pericoloso, in quanto l’acqua è una risorsa insostituibile per l’uomo.

Esistono almeno due ordini di ragioni che fanno dubitare che i gestori dell’acqua non potranno influenzare i prezzi del mercato dei servizi idrici. In primo luogo, la “produzione” e il trasporto dell’acqua richiedono investimenti talmente elevati da farne un esempio di monopolio naturale. Infatti, già ora il mercato dell’acqua è dominato da un esiguo numero di multinazionali. Si pensi a Vivendi che estende il suo impero su 120 Paesi del mondo, oppure alla Nestlé che vende diversi tipi di acqua minerale, come l’acqua Terrier, la Vittel, l’acqua Vera, la S. Bernardo, la S. Pellegrino, l’acqua Panna, la Levissima, la Pejo, la Recoaro.

In secondo luogo, l’uso dell’acqua non implica necessariamente le modalità del suo impiego: anzi, per l’economia dei costi i servizi, all’interno di una stessa impresa, vanno integrati. Anche la Banca Mondiale si è espressa a favore di questa necessità. Una tale situazione potrebbe causare numerosi danni e inconvenienti: ad esempio, la stessa acqua potrebbe essere usata per il lavaggio di minerali e per l’irrigazione.

Forse non siamo ancora sufficientemente consapevoli della gravità della situazione attuale. Vandana Shiva è drastica: «La crisi dell’acqua è la dimensione più pervasiva, più grave e meno visibile della devastazione ecologica della terra (…). L’acqua è la matrice della cultura, la base della vita. In arabo, in urdu e in indostano si chiama ‘ab’; ‘abad raho’ è un augurio di prosperità e abbondanza. Il nome stesso dell’India deriva dal grande fiume Indo».

  

Acqua: diritto o bisogno?

La differenza tra diritto e bisogno è importante. Sostenere che l’accesso all’acqua è un diritto significa riconoscere che fa parte della responsabilità della collettività assicurare le condizioni necessarie per garantire il diritto a tutti. Concretamente, è compito delle autorità pubbliche (locali, regionali, nazionali, internazionali…) il compito/dovere di mobilitare le risorse, soprattutto finanziarie, adeguate alla soddisfazione del diritto. La realtà è ben lontana da quella che dovrebbe essere: ad esempio, in Italia, sesta potenza economica mondiale, circa il 70% delle popolazioni delle regioni del Mezzogiorno non ha un accesso all’acqua potabile in quantità sufficiente su base regolare.

Perché qualcuno pensa all’acqua come bisogno e non come diritto? Perché c’è un preoccupante tentativo di passare da una “cultura dei diritti” a una “cultura dei bisogni” in quanto, se i diritti sociali diventano revocabili, nessun diritto resterebbe accordato per sempre e vincerebbero i bisogni “reali”, quelli espressi nel e dal mercato in termini monetari.

A chi appartiene l’acqua? Se è uno degli elementi naturali e insostituibili alla vita, essa dovrebbe essere considerata un bene comune “appartenente” a tutti gli esseri viventi, e in particolare all’umanità. L’acqua non è res nullius. Le società umane hanno generalmente considerato l’acqua come un “patrimonio” comune, ma non sono arrivate a pensarla come un bene comune a livello mondiale. Il riconoscimento dell’acqua come “bene comune” non ha oltrepassato i limiti delle frontiere degli Stati e del principio di sovranità nazionale.

Perciò possiamo evidenziare l’emergenza di due nuove tendenze: da una parte quella che va verso il riconoscimento dell’acqua, dell’aria, della terra e dell’energia solare come beni comuni mondiali. Essa si fonda su una triplice matrice culturale: quella religiosa, legata alla tradizione cristiana, universalista e terzomondista e anche alle tradizioni eco-centriche e non violente indiane, africane…; quella ecologica, con le sue varianti (ecologia politica, deep ecology, eco-femminismo, sviluppo sostenibile; quella sociale, rappresentata dalla lotta dei contadini per il diritto alla Terra, dall’opposizione agli OGM, dal rifiuto della brevettabilità degli organismi viventi, dall’opposizione alla costruzione di grandi dighe.

L’altra tendenza è quella della “petrolizzazione” dell’acqua, che si è affermata soprattutto a partire dagli anni ’80. Essa considera la società come un insieme di transazioni di scambio di beni e servizi, e il valore di un bene è determinato dal suo contributo alla creazione di plusvalore per il capitale. L’impresa e l’investimento privato sono posti come il motore principale della creazione della ricchezza: l’acqua deve essere trattata come una merce che si vende e si compra in funzione del prezzo del mercato. Così l’acqua apparterrebbe a chi investe, a chi prende a carico i costi per assicurarne la captazione, l’epurazione, la distribuzione, la manutenzione, il riciclaggio.

Secondo questa tendenza, a partire dal momento che c’è un intervento umano, e quindi un costo per trasformare le acque in acqua potabile o per l’irrigazione, l’acqua cesserebbe di essere un bene comune naturale per diventare un bene economico, oggetto di scambi e di appropriazione privata. Chi sostiene questa posizione, ritiene che i mali del settore dell’acqua avrebbero soprattutto origine nel fatto che l’acqua costa poco o quasi nulla per chi la consuma e quindi ne usa senza limiti. L’imposizione di un prezzo di mercato, secondo il duplice principio del “chi consuma paga” e “chi inquina paga”, corrispondente ai costi effettivi totali sopportati dal produttore e dal distributore, più un margine convenevole di profitto, eliminerebbe una tale situazione e assicurerebbe una gestione “economica” ottimale della risorsa.

Imporre un prezzo significa anche privatizzare i servizi d’acqua e liberalizzarli, come sta accadendo in un numero sempre maggiore di Paesi del mondo, dove assistiamo a un’ondata di privatizzazione dei servizi di distribuzione dell’acqua e di trattamento delle acque reflue.

 

Per una politica alternativa dell’acqua. Come impegnarsi?

L’accesso all’acqua, nella quantità e qualità sufficiente alla vita, deve essere riconosciuto come un diritto costituzionale umano e sociale. I meccanismi di mercato non sono adeguati a gestire il diritto alla vita: non è detto che il costo dell’acqua debba essere necessariamente coperto dal consumatore attraverso il pagamento di un prezzo. Del resto, l’esperienza dei Paesi dove l’acqua fa parte dei servizi di proprietà e gestione pubblica, confrontata con l’esperienza dei Paesi dove l’acqua è stata privatizzata, dimostra che non solo la privatizzazione non è indispensabile, ma anche che essa non è necessariamente una soluzione efficace e adeguata.

La democrazia necessita della promozione di un “pubblico” nuovo, democratico, partecipato e solidale, e l’attivazione di luoghi di partecipazione diretta, di prossimità, che includano i cittadini e le comunità locali, i lavoratori e le lavoratrici, gli enti locali, e la valorizzazione di tutte le forme che nei vari Paesi rappresentano la ricchezza dell’esperienza democratica.

Perciò occorre:

- Promuovere una campagna “sete zero”. Tutti gli abitanti della terra devono avere accesso all’acqua potabile entro il 2020. “Sete zero” deve diventare un obiettivo scritto, un impegno politico formale.

- Dichiarare illegale la povertà. Visto il legame stretto esistente tra povertà e non accesso all’acqua, la proposta “sete zero” significa praticamente “povertà zero”. Come nel XIX° secolo l’abolizione della schiavitù aprì un’era di sviluppo considerevole dei diritti umani, civili, sociali e politici, così la dichiarazione d’illegalità della povertà costituisce uno degli obiettivi prioritari della costruzione di un “altro mondo” e di un’altra politica dell’acqua.

- Sostenere le lotte in corso contro la costruzione di grandi dighe in America Latina, in Asia (soprattutto in Cina), in Africa, in Russia, nell’Asia Minore (in particolare nel Kurdistan) in Europa (specie nei Paesi dell’Est). In particolare, bisogna favorire interventi su scala locale comportanti bassi livelli di rischio tecnologico, sociale, umano, ambientale e culturale, e ispirati ai principi di precauzione e di reversibilità.

- Promuovere sistemi agricoli diversificati, legati ai territori, al ciclo corto produzione-consumo, alla manutenzione e tutela dei processi ecologici, alla promozione, ove possibile, di coltivazioni poco idroesigenti, e a un uso dell’acqua più funzionale agli interessi di contadini e cittadini che a quelli delle industrie.

In questo senso, occorre far rispettare norme miranti a ridurre i livelli attuali inaccettabili d’inquinamento e contaminazione del pianeta provocati dalle attività industriali e terziarie; occorre lottare contro le varie forme di privatizzazione dei servizi d’acqua per puntare a promuovere la democrazia dell’acqua a tutti i livelli, sia al livello dei bacini, sia al livello dei fiumi, con la creazione di assemblee rappresentative di cittadini dei Paesi appartenenti allo stesso bacino idrologico.

Inoltre, dal 1998 c’è stata una “Campagna sull’acqua” che coinvolge organizzazioni non governative, associazioni, movimenti, esperti e studiosi. L’obiettivo della campagna è il riconoscimento di quattro punti indispensabili che si possono estrapolare dal suo “Manifesto”:

1. Fonte insostituibile di vita, l’acqua deve essere considerata un bene comune patrimoniale dell’umanità e degli altri organismi viventi.

2. L’accesso all’acqua, potabile in particolare, è un diritto umano e sociale imprescrittibile che deve essere garantito a tutti gli esseri umani indipendentemente dalle etnie, l’età, il sesso, la classe, il reddito, la nazionalità, la religione, la disponibilità locale d’acqua dolce.

3. La copertura finanziaria dei costi necessari per garantire l’accesso effettivo di tutti gli esseri umani all’acqua, in modo che sia sufficiente alla vita, deve essere a carico della collettività.

4. La gestione della proprietà e dei servizi è una questione di democrazia. Essa è fondamentalmente un affare dei cittadini e non (solo) dei distributori.

 

Bibliografia

Aa.Vv., Acqua. Bene comune dell’umanità, Punto Rosso, Milano 2002.

Barlow M.- Clarke T., Oro blu. La battaglia contro il furto mondiale dell’acqua, Arianna Ed., Casalecchio di Reno (Bo) 2003.

Moretuzzo M.- Tosolini A.- Zoletto D. (a cura di), L’acqua come cittadinanza attiva. Democrazia e educazione tra i Nord e i Sud del mondo, EMI, Bologna 2003.

Petrella R., Il Manifesto dell’Acqua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001.

Shiva V., Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, Milano 2003.

Sironneau J., L’acqua. Nuovo obiettivo strategico mondiale, Asterios, Trieste 1997.

Villiers M.D., Acqua. Storia e destino di una risorsa in pericolo, Sperling & Kupfer, Milano 2003.

 

Sitografia

www.cipsi.it/contrattoacqua/home  (sito del Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale che associa ONG e associazioni).

www.desertification.it  (Comitato nazionale per la lotta alla siccità, curato dall’Enea).

www.lifewater.org (acqua per la vita: organismo cristiano che aiuta i poveri del mondo rurale per ottenere acqua).

www.oieau.fr  (l’Ufficio internazionale dell’acqua è un’associazione non-profit francese che mira al coordinamento dei partners che si occupano delle risorse acqua).

  

 

 

   

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