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Sembra
un po’ strano il pellegrinaggio di cui si parla quest’anno perché, al di
là di quello fatto a Santiago di Compostela e a Fatima, ne è avvenuto un
altro molto curioso e importante.
Raccontiamo perciò questo viaggio
misterioso, fatto su sentieri ciottolosi e… di pace durante gli
Esercizi Spirituali, guidati da p.
Alessandro Barban,
abate camaldolese del Monastero di Fonte Avellana.
Il cammino è iniziato in un giorno del
tardo novembre 2003 ed era “il giorno dopo”. Era un tempo non
cronologico, ma di Dio che segnava ritmi di grazia. Quel cammino ci ha
trasportate in Palestina per incontrare personaggi che si erano
messi sui passi di Cristo dopo una guarigione, un dialogo personale, o
un evento vissuto fra persone, in un itinerario di vero discepolato.
Il
fine del nostro pellegrinare era appunto quello di incontrare l’identità
nostra in uno o una dei discepoli, fino a scegliere quello più vicino
alla nostra esperienza e, senza dubbi, più amato.
Lungo i meandri del fiume Giordano
incontriamo per primo Giovanni il
Battista, uomo
avvezzo al deserto, alla estrema sobrietà, al radicale distacco da
tutto, all’assidua lettura della Parola di Dio. La sua scorza sembra
dura e rimbomba in toni di forza indicibile quando grida a tutti di
convertirsi, di raddrizzare le vie storte, di spianare i sentieri.
Anche noi sentiamo di rivolgergli la
domanda: «Chi sei?», e la risposta non si fa attendere: «Voce
di colui che grida nel deserto, preparate le vie del Signore».
E’ il profeta che ha voce ma non ha la
parola, la Parola è attesa da un Altro. Ed ecco che sotto quella corazza
rude si sente palpitare un cuore mite e umile quando vede e incontra
l’Agnello di Dio, Colui che battezzerà con acqua e fuoco, Colui
attraverso il quale il Padre ha tanto amato l’umanità da offrirglielo.
Quell’incontro tra il Battista e il
Messia segna il momento dell’innamoramento tra lo Sposo e la Sposa che
si dicono l’un l’altro l’intenzione di amarsi. Comincia così l’avvio del
discepolato, dell’amicizia, della fiducia e della consegna fino
all’estremo.
Da questo momento non si tratta più di
seguire il Battista: l’ “ora” del Primo Testamento si fermerà con lui,
con il suo martirio e si apre l’ “ora nuova”, quella di Cristo Gesù.
Il cammino del nuovo Maestro è
lungo il lago di Tiberiade, fra la gente del quotidiano che riassetta le
reti. E’ lì che Egli incontra i
primi discepoli
della nuova Alleanza. Il suo invito sembra perentorio, quanto
rispettoso e libero: «Venite con me e vi farò pescatori di uomini».
Il fascino del Maestro diventa amore, e Simone, Giovanni e Andrea lo
seguono. Gesù stringe con loro un’amicizia profonda che ha le
caratteristiche delle relazioni della famiglia-comunità. Il Figlio
dell’Uomo che non sa dove posare il capo va a vivere nella casa dei
discepoli. Con Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea stiamo trovando il
Messia, stiamo entrando nel tempo che salva, è il cammino aperto alla
novità di Dio. A loro Gesù rivolge la domanda di fondo: «Chi
cercate?», cui fa eco anche una nostra risposta, ora timida, ora più
sicura, e alla nostra perplessità, Egli risponde così: «Venite e
vedrete»; il giogo da portare non sarà più quello della legge, ma
dell’amore, con il prezzo dell’amore.
La prospettiva tra oggi e domani è
quella del “vedrete”, dello stupore, della concretezza, del dono; è
superata l’ora X, quella delle dieci parole, è tempo di “stare”
in modo dinamico accanto a Lui come discepoli.
Lungo la via ci si imbatte in un nuovo
amico, Natanaele,
il vero ebreo che conosce a memoria la Scrittura e la legge notte e
giorno: il suo segreto nascosto. Dapprima incredulo, egli si sente
carpire questo segreto e con esso il suo cuore. «Ti ho conosciuto
quando eri sotto il fico»: con questa frase Gesù dimostra di
conoscere quel segreto a nessuno noto, neppure ai più intimi, mistero
vissuto da vero israelita. Natanaele è conquistato e si aggiunge alla
fila dei discepoli.
Andiamo avanti con la sensazione di
abitare il futuro, disposte a “vedere” ciò che Dio fa nella
storia attraverso il suo Figlio Gesù. Ma i discepoli non sanno dove
vanno… il loro andare è nella fede di Colui che li precede sempre.
Nel 7° giorno si colloca l’invito
alle nozze di Cana,
uno strano matrimonio in cui non si individuano gli sposi. L’unico Sposo
è Cristo Gesù, il cui gesto prelude alla Pasqua, unione matrimoniale tra
Dio e il suo popolo. Lì è anche Maria, la Madre, Colei che rappresenta
Israele e chiede il vino della gioia a Gesù. Ma quel vino è correlato
alla misteriosa “ora di Gesù”, quel vino è il Sangue di Cristo.
Il vino che manca, la gioia che è venuta meno potranno essere dati solo
con il Sangue, con la Sua Vita.
Maria è la Figlia di Sion che domanda
l’amore e l’adesione di Gesù alla sua richiesta. La risposta del Figlio
può essere così interpretata: «Che cosa è per me e per te, o donna,
il vino?»
In questo 7° giorno si celebra perciò
anche il nostro fidanzamento con Dio: siamo lì presenti come idrie non
solo vuote, ma che stanno vivendo l’umiliazione dei propri pezzi sparsi
e perduti. E Cristo si rende conto che abbiamo bisogno di amore per
unificarci, per risentirci “umanità”. Così ricomincia la vera festa fra
persone che convengono nella gioia e offrono il culto della loro vita in
una comunione senza termine.
Non è chiusa la festa di nozze che già
incontriamo un discepolo inquieto, nell’esperienza della notte: è
Nicodemo che, proprio nel
buio, si reca da Gesù avendo in cuore un grosso problema e scopre il
miracolo di una rinascita, esperienza riservata anche a noi che
cerchiamo. Nicodemo è un uomo stanco che non sa come uscire dalla sua
confusione interiore.
E’ il tempo della conversione,
tappa adulta a cui arrivi con tutto il tuo bagaglio di peccati, di
rimorsi e proprio a 50-60 anni si scopre che incomincia la vera
vita. Ti senti adulta, libera, non più trattenuta da ostacoli umani: è
questo lo stato di chi vive la conversione e la nuova vita, la vita di
Elia che voleva morire, rinvigorita poi dal semplice pane di Dio. Ci
accorgiamo di aver vissuto anche noi la notte con Nicodemo, ponendo
domande solo a Gesù, quelle più vere, quelle che fanno rinascere nello
Spirito.
Il cammino del discepolato è ancora
lungo e giungiamo con Gesù a Sicàr, nell’ora del mezzogiorno,
che, come quella della mezzanotte, segna una svolta nella storia. Arriva
una donna al pozzo di Giacobbe, è chiusa nella sua solitudine, ma
abbastanza libera per stare all’altezza del dialogo che Gesù intesse con
lei. Il pozzo è per la samaritana
l’immagine della Torah, ora sta diventando una persona: Gesù.
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti parla…» «Chi
beve l’acqua che io gli darò, non avrà più sete…» Gesù è venuto a
sciogliere il legame della legge e a portare il rapporto diretto con il
Padre. Questa donna è l’intera Samaria che adora altre divinità (i
famosi cinque mariti); dove invece adorare Dio? Gesù prospetta un culto
spirituale, un’eucaristia vivente, la Parola incarnata. Allora non è più
il luogo che fa la nostra preghiera (il tempio, il monte Garizin), ma
«Voi siete il tempio dello Spirito santo». «Abbiate cura del vostro
corpo» (S. Paolo). La samaritana lascia la sua brocca e va ad
annunciare, come altre donne, chiamate da Gesù, faranno altrettanto.
Con la samaritana cerchiamo l’acqua in
un cambiamento e una svolta interiore; troviamo il luogo dinamico ove
adorare Dio, dove amarlo non per dovere, ma nella pienezza dello slancio
del cuore, nell’aria pura della libertà. Comprendiamo in questo senso
che il nostro compito primario è quello di trovare la parola viva nel
tempio che siamo noi, che sono i nostri fratelli e le nostre sorelle:
«Noi abbiamo conosciuto e sperimentato…»
Una giornata splendida quella con la
samaritana, giornata che ci riempie di gioia e, nello stesso tempo, ci
fa silenziose adoratrici del “dono”.
Un altro giorno ci
attende sulla montagna
dove Gesù è attorniato da tanta gente che ascolta e riceve consolazione
e luce, ma si fa tardi e non c’è nulla per il pranzo. I discepoli
suggeriscono di congedare la folla, mentre Gesù la vuole trattenere e
compiere il miracolo della “condivisione” fra poveri e per questo
può dire: «Non affannatevi per il domani, vivete l’oggi e
condividete». E’ un ragazzo che offre la povertà dei suoi pani e
pochi pesci e Gesù moltiplica quella generosità. E’ quindi il caso di
fare re Gesù? No, no… Gesù annuncia una regalità tutta interiore, un
evento… Egli è il pane e «chi ne mangia avrà la vita eterna». Discorso
duro da comprendere e che fa piombare nella notte anche i discepoli: è
un momento di incomprensione, sta venendo meno la comunione e Gesù si
ritira solo sul monte a pregare.
La gente pensa che
Gesù sia a Cafarnao,
ove più tardi effettivamente vi si reca, ripetendo la sua totale,
incomprensibile offerta: «Il pane sono io stesso». Il discorso è
sempre duro per i discepoli e la tentazione di tirarsi indietro si fa
terribile. Gesù volge il suo sguardo sicuro e triste nello stesso tempo:
«Volete andarvene anche voi?». Pietro, preso dallo Spirito,
risolleva la situazione e con l’impulso dell’amore riprende il discorso
di Gesù: «Tu solo hai parole di vita eterna».
Si rompe l’atmosfera di tensione e,
nell’altra riva, si ricomprende il Maestro.
Lungo la strada, ripresa dopo questo
momento di tentazione e di riscoperta del dono di Cristo, incontriamo un
altro amico che diventerà discepolo del Signore: è
Bartimeo, cieco-nato,
ritenuto peccatore per la sua menomazione.
All’invocazione di pietà, Gesù fa del
fango con la sua saliva e con la terra, quella terra dalla quale Dio ci
ha creati e ricrea Bartimeo, inviato a lavarsi alla piscina di Siloe. La
trasformazione è completa fino alla “vista interiore”. Due
identità si incontrano… Qual è quel Messia a cui credere? E chi è che lo
vuole seguire? Rispondono due voci distinte, per una identità ritrovata
e per una identità rivelata: «Sono io!»
Bartimeo inizia il suo cammino con
grande coraggio, sfidando le stesse autorità dei farisei: «Se non
fosse da Dio, non avrebbe potuto guarirmi». Egli sta ora giudicando
nella luce perché «l’ha visto» e aveva avuto conferma da Cristo:
il Messia «è Colui che parla con te!»
Gesù va a rintracciare quest’uomo,
provato oltretutto dall’arroganza dei farisei.
E’ sempre Gesù che cerca noi e ci trova
portandoci alla prima, quindi alla seconda conversione, fino a renderci
capaci di raccontare Lui che ci ha trovato, incontrandoci magari la
seconda volta.
Gesù rompe ogni schema istituzionale di
leggi e per questo deve morire, se lo propongono con decisione anche gli
ultimi uomini che hanno incontrato Bartimeo, quelli che hanno posto le
domande più critiche.
Veramente si stanno appressando gli
ultimi giorni terreni di Gesù. Ma nella sua infinita Bontà e
Misericordia, Egli ci porta a una
Cena, è l’ultima che farà fra noi sulla terra,
avendo già preannunciato che sarebbe stato ucciso. Quel discorso aveva
dato adito ai discepoli di domandarsi chi l’avrebbe sostituito, chi
sarebbe stato il più grande se il Cristo avesse fallito.
Gesù vive l’incomprensione fino agli
ultimi giorni e proprio nella grande cena dimostra chi è il più grande,
cingendosi il grembiule per lavare i piedi: «Vi ho dato l’esempio
perché quello che ho fatto io lo facciate anche voi».
Ma perché Gesù lava i piedi?
Ci rifacciamo ad
alcuni versi di Isaia: «Come sono belli sui monti i passi di chi
annuncia la pace, di chi dice a Sion: regna il tuo Dio».
L’intero corpo bagnato dalla Parola ha bisogno di essere lavato solo nei
piedi per diventare messaggero, per portare la buona Novella. Anche a
Giuda sono lavati i piedi, ma egli non entra in comunione con Gesù. Gli
altri undici, dopo la ritrosia di Pietro, comprendono il misterioso
gesto del Maestro. I loro passi annunceranno più tardi il reciproco
perdono, la riconcilazione avvenuta, la Pasqua dei fratelli e delle
sorelle. Quei piedi cammineranno, si porteranno presso le porte a
bussare, a chiedere solidarietà e reciprocità, ma sono destinati anche
ad arrivare alla via del martirio: «Anche voi berrete quel calice».
E’ anche la nostra fine, Gesù promette
il centuplo, ma anche persecuzione e martirio per causa sua. E’ la fine
sua e la fine di ogni discepolo/a che si è messo con cuore libero dietro
a Lui fino alla croce. Gesù per noi ha pregato per questo, avendo
fiducia in noi anche se fragili. Ci invia gli uni per gli altri,
reciprocamente. Dobbiamo diventare credibili all’interno delle nostre
comunità e allora lo saremo anche all’esterno, cominciando la via del
perdono e dell’amore per primi. «La pace si fa nel perdono e nella
giustizia» (Giovanni Paolo II°).
La fine umana è avvenuta: Cristo è
morto per i nostri peccati… e piomba il silenzio sul mondo.
Dopo la grande tragedia della
Crocifissione,
della kenosis di Cristo, ci troviamo trepidi nel
bagliore dell’alba dell’8° giorno.
Maria Maddalena e qualche altra
donna avevano preparato con
amore, e fra tacite lacrime, il rito delle sepoltura del corpo
martoriato di Cristo. Sono ancora loro, dopo forse un riposo non
avvenuto, che si avviano, portando oli profumati che potevano espandere
la loro fragranza presso la tomba di Cristo e dire ancora la Sua
presenza. Maddalena avverte che qualcosa di strano è avvenuto e sta
ritta sulla porta del sepolcro dalla pietra rimossa e pensa subito al
trafugamento. Cade allora su se stessa, non le rimane dinanzi che uno
spazio vuoto, e questo vuoto è anche dentro di lei.
Una visione divina
le dice che Gesù, il crocifisso, non è qui, e
Maria Maddalena risponde con
ansia accorata: «Ditemi dove l’hanno posto!». L’Angelo della
Pasqua avvia su sentieri nuovi Maddalena, la porta al “giardino”,
un giardino redento, non più quello dei progenitori. Maddalena, che
avrebbe voluto morire come Elia, si sente chiamare per nome e il suo
sguardo si gira, cambia anche l’atteggiamento interiore: dal
ripiegamento su di sé, all’ascolto, alla novità di Dio. «Maria!»,
«Rabbunì!», «Noli me tangere».
Maria è resa repentinamente adulta, è
invitata da Cristo a passare da un amore intimistico al dono,
all’annuncio presso i fratelli e le sorelle, perché Gesù ora appartiene
a tutti, come tutti appartengono a Lui perché li ha salvati. I piedi di
Maddalena si muovono verso Pietro, Giovanni, per dire: «Ho visto il
Signore!»
E’ questa la Pasqua: è vinta la morte,
ogni morte anche personale fatta di frustrazioni e di fallimenti. Siamo
mandate anche noi nel giardino a scoprire l’Ortolano che ci chiama per
nome, il nostro vero nome e ci rialza dicendoci di non
ricordare più le cose passate, ma di andare dai fratelli e dalle sorelle
a dire una cosa sola, attraverso i nostri quotidiani servizi: «Ho
visto il Signore!». E’ la missione della Chiesa, è la missione
nostra, è l’esperienza pasquale celebrata nella comunità propria e dei
credenti.
Le tappe del discepolato sono finite,
ma per continuare in modo diverso: abbiamo vissuto la prima tappa nella
ricerca anche scabrosa e siamo arrivate alla seconda tappa, quella
pasquale, quella di Maddalena.
Ci chiediamo: ma chi è il vero
discepolo fra quelli incontrati nel nostro itinerario spirituale? E
forse concludiamo con la convinzione che questa discepola è Maddalena
che ha visto il Signore risorto. «Ciò
che abbiamo visto e toccato, noi ve lo annunciamo»
(1Gv,1,5).
Ed è sempre Pasqua!
* Suora Orsolina del
Sacro Cuore di Maria, incaricata per la formazione e il trimestre
sabbatico, presso L’USMI nazionale.
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