n. 4
aprile 2004

 

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Il pellegrinaggio "virtuale" in Palestina
delle sorelle del "Trimestre Sabbatico 2003"

di Giampaola Periotto *

 

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Sembra un po’ strano il pellegrinaggio di cui si parla quest’anno perché, al di là di quello fatto a Santiago di Compostela e a Fatima, ne è avvenuto un altro molto curioso e importante.

Raccontiamo perciò questo viaggio misterioso, fatto su sentieri ciottolosi e… di pace durante gli Esercizi Spirituali, guidati da p. Alessandro Barban, abate camaldolese del Monastero di Fonte Avellana.

Il cammino è iniziato in un giorno del tardo novembre 2003 ed era “il giorno dopo”. Era un tempo non cronologico, ma di Dio che segnava ritmi di grazia. Quel cammino ci ha trasportate in Palestina per incontrare personaggi che si erano messi sui passi di Cristo dopo una guarigione, un dialogo personale, o un evento vissuto fra persone, in un itinerario di vero discepolato.

Il fine del nostro pellegrinare era appunto quello di incontrare l’identità nostra in uno o una dei discepoli, fino a scegliere quello più vicino alla nostra esperienza e, senza dubbi, più amato.

 

Lungo i meandri del fiume Giordano incontriamo per primo Giovanni il Battista, uomo avvezzo al deserto, alla estrema sobrietà, al radicale distacco da tutto, all’assidua lettura della Parola di Dio. La sua scorza sembra dura e rimbomba in toni di forza indicibile quando grida a tutti di convertirsi, di raddrizzare le vie storte, di spianare i sentieri.

Anche noi sentiamo di rivolgergli la domanda: «Chi sei?», e la risposta non si fa attendere: «Voce di colui che grida nel deserto, preparate le vie del Signore».

E’ il profeta che ha voce ma non ha la parola, la Parola è attesa da un Altro. Ed ecco che sotto quella corazza rude si sente palpitare un cuore mite e umile quando vede e incontra l’Agnello di Dio, Colui che battezzerà con acqua e fuoco, Colui attraverso il quale il Padre ha tanto amato l’umanità da offrirglielo.

Quell’incontro tra il Battista e il Messia segna il momento dell’innamoramento tra lo Sposo e la Sposa che si dicono l’un l’altro l’intenzione di amarsi. Comincia così l’avvio del discepolato, dell’amicizia, della fiducia e della consegna fino all’estremo.

Da questo momento non si tratta più di seguire il Battista: l’ “ora” del Primo Testamento si fermerà con lui, con il suo martirio e si apre l’ “ora nuova”, quella di Cristo Gesù.

 

Il cammino del nuovo Maestro è lungo il lago di Tiberiade, fra la gente del quotidiano che riassetta le reti. E’ lì che Egli incontra i primi discepoli della nuova Alleanza. Il suo invito sembra perentorio, quanto rispettoso e libero: «Venite con me e vi farò pescatori di uomini». Il fascino del Maestro diventa amore, e Simone, Giovanni e Andrea lo seguono. Gesù stringe con loro un’amicizia profonda che ha le caratteristiche delle relazioni della famiglia-comunità. Il Figlio dell’Uomo che non sa dove posare il capo va a vivere nella casa dei discepoli. Con Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea stiamo trovando il Messia, stiamo entrando nel tempo che salva, è il cammino aperto alla novità di Dio. A loro Gesù rivolge la domanda di fondo: «Chi cercate?», cui fa eco anche una nostra risposta, ora timida, ora più sicura, e alla nostra perplessità, Egli risponde così: «Venite e vedrete»; il giogo da portare non sarà più quello della legge, ma dell’amore, con il prezzo dell’amore.

La prospettiva tra oggi e domani è quella del “vedrete”, dello stupore, della concretezza, del dono; è superata l’ora X, quella delle dieci parole, è tempo di “stare” in modo dinamico accanto a Lui come discepoli.

 

Lungo la via ci si imbatte in un nuovo amico, Natanaele, il vero ebreo che conosce a memoria la Scrittura e la legge notte e giorno: il suo segreto nascosto. Dapprima incredulo, egli si sente carpire questo segreto e con esso il suo cuore. «Ti ho conosciuto quando eri sotto il fico»: con questa frase Gesù dimostra di conoscere quel segreto a nessuno noto, neppure ai più intimi, mistero vissuto da vero israelita. Natanaele è conquistato e si aggiunge alla fila dei discepoli.

Andiamo avanti con la sensazione di abitare il futuro, disposte a “vedere” ciò che Dio fa nella storia attraverso il suo Figlio Gesù. Ma i discepoli non sanno dove vanno… il loro andare è nella fede di Colui che li precede sempre.

 

Nel 7° giorno si colloca l’invito alle nozze di Cana, uno strano matrimonio in cui non si individuano gli sposi. L’unico Sposo è Cristo Gesù, il cui gesto prelude alla Pasqua, unione matrimoniale tra Dio e il suo popolo. Lì è anche Maria, la Madre, Colei che rappresenta Israele e chiede il vino della gioia a Gesù. Ma quel vino è correlato alla misteriosa “ora di Gesù”, quel vino è il Sangue di Cristo. Il vino che manca, la gioia che è venuta meno potranno essere dati solo con il Sangue, con la Sua Vita.

Maria è la Figlia di Sion che domanda l’amore e l’adesione di Gesù alla sua richiesta. La risposta del Figlio può essere così interpretata: «Che cosa è per me e per te, o donna, il vino?»

In questo 7° giorno si celebra perciò anche il nostro fidanzamento con Dio: siamo lì presenti come idrie non solo vuote, ma che stanno vivendo l’umiliazione dei propri pezzi sparsi e perduti. E Cristo si rende conto che abbiamo bisogno di amore per unificarci, per risentirci “umanità”. Così ricomincia la vera festa fra persone che convengono nella gioia e offrono il culto della loro vita in una comunione senza termine.

 

Non è chiusa la festa di nozze che già incontriamo un discepolo inquieto, nell’esperienza della notte: è Nicodemo che, proprio nel buio, si reca da Gesù avendo in cuore un grosso problema e scopre il miracolo di una rinascita, esperienza riservata anche a noi che cerchiamo. Nicodemo è un uomo stanco che non sa come uscire dalla sua confusione interiore.

E’ il tempo della conversione, tappa adulta a cui arrivi con tutto il tuo bagaglio di peccati, di rimorsi e proprio a 50-60 anni si scopre che incomincia la vera vita. Ti senti adulta, libera, non più trattenuta da ostacoli umani: è questo lo stato di chi vive la conversione e la nuova vita, la vita di Elia che voleva morire, rinvigorita poi dal semplice pane di Dio. Ci accorgiamo di aver vissuto anche noi la notte con Nicodemo, ponendo domande solo a Gesù, quelle più vere, quelle che fanno rinascere nello Spirito.

 

Il cammino del discepolato è ancora lungo e giungiamo con Gesù a Sicàr, nell’ora del mezzogiorno, che, come quella della mezzanotte, segna una svolta nella storia. Arriva una donna al pozzo di Giacobbe, è chiusa nella sua solitudine, ma abbastanza libera per stare all’altezza del dialogo che Gesù intesse con lei. Il pozzo è per la samaritana l’immagine della Torah, ora sta diventando una persona: Gesù. «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti parla…» «Chi beve l’acqua che io gli darò, non avrà più sete…» Gesù è venuto a sciogliere il legame della legge e a portare il rapporto diretto con il Padre. Questa donna è l’intera Samaria che adora altre divinità (i famosi cinque mariti); dove invece adorare Dio? Gesù prospetta un culto spirituale, un’eucaristia vivente, la Parola incarnata. Allora non è più il luogo che fa la nostra preghiera (il tempio, il monte Garizin), ma «Voi siete il tempio dello Spirito santo». «Abbiate cura del vostro corpo» (S. Paolo). La samaritana lascia la sua brocca e va ad annunciare, come altre donne, chiamate da Gesù, faranno altrettanto.

Con la samaritana cerchiamo l’acqua in un cambiamento e una svolta interiore; troviamo il luogo dinamico ove adorare Dio, dove amarlo non per dovere, ma nella pienezza dello slancio del cuore, nell’aria pura della libertà. Comprendiamo in questo senso che il nostro compito primario è quello di trovare la parola viva nel tempio che siamo noi, che sono i nostri fratelli e le nostre sorelle: «Noi abbiamo conosciuto e sperimentato…»

Una giornata splendida quella con la samaritana, giornata che ci riempie di gioia e, nello stesso tempo, ci fa silenziose adoratrici del “dono”.

Un altro giorno ci attende sulla montagna dove Gesù è attorniato da tanta gente che ascolta e riceve consolazione e luce, ma si fa tardi e non c’è nulla per il pranzo. I discepoli suggeriscono di congedare la folla, mentre Gesù la vuole trattenere e compiere il miracolo della “condivisione” fra poveri e per questo può dire: «Non affannatevi per il domani, vivete l’oggi e condividete». E’ un ragazzo che offre la povertà dei suoi pani e pochi pesci e Gesù moltiplica quella generosità. E’ quindi il caso di fare re Gesù? No, no… Gesù annuncia una regalità tutta interiore, un evento… Egli è il pane e «chi ne mangia avrà la vita eterna». Discorso duro da comprendere e che fa piombare nella notte anche i discepoli: è un momento di incomprensione, sta venendo meno la comunione e Gesù si ritira solo sul monte a pregare.

La gente pensa che Gesù sia a Cafarnao, ove più tardi effettivamente vi si reca, ripetendo la sua totale, incomprensibile offerta: «Il pane sono io stesso». Il discorso è sempre duro per i discepoli e la tentazione di tirarsi indietro si fa terribile. Gesù volge il suo sguardo sicuro e triste nello stesso tempo: «Volete andarvene anche voi?». Pietro, preso dallo Spirito, risolleva la situazione e con l’impulso dell’amore riprende il discorso di Gesù: «Tu solo hai parole di vita eterna».

Si rompe l’atmosfera di tensione e, nell’altra riva, si ricomprende il Maestro.

 

Lungo la strada, ripresa dopo questo momento di tentazione e di riscoperta del dono di Cristo, incontriamo un altro amico che diventerà discepolo del Signore: è Bartimeo, cieco-nato, ritenuto peccatore per la sua menomazione.

All’invocazione di pietà, Gesù fa del fango con la sua saliva e con la terra, quella terra dalla quale Dio ci ha creati e ricrea Bartimeo, inviato a lavarsi alla piscina di Siloe. La trasformazione è completa fino alla “vista interiore”. Due identità si incontrano… Qual è quel Messia a cui credere? E chi è che lo vuole seguire? Rispondono due voci distinte, per una identità ritrovata e per una identità rivelata: «Sono io!»

Bartimeo inizia il suo cammino con grande coraggio, sfidando le stesse autorità dei farisei: «Se non fosse da Dio, non avrebbe potuto guarirmi». Egli sta ora giudicando nella luce perché «l’ha visto» e aveva avuto conferma da Cristo: il Messia «è Colui che parla con te!»

Gesù va a rintracciare quest’uomo, provato oltretutto dall’arroganza dei farisei.

E’ sempre Gesù che cerca noi e ci trova portandoci alla prima, quindi alla seconda conversione, fino a renderci capaci di raccontare Lui che ci ha trovato, incontrandoci magari la seconda volta.

Gesù rompe ogni schema istituzionale di leggi e per questo deve morire, se lo propongono con decisione anche gli ultimi uomini che hanno incontrato Bartimeo, quelli che hanno posto le domande più critiche.

 

Veramente si stanno appressando gli ultimi giorni terreni di Gesù. Ma nella sua infinita Bontà e Misericordia, Egli ci porta a una Cena, è l’ultima che farà fra noi sulla terra, avendo già preannunciato che sarebbe stato ucciso. Quel discorso aveva dato adito ai discepoli di domandarsi chi l’avrebbe sostituito, chi sarebbe stato il più grande se il Cristo avesse fallito.

Gesù vive l’incomprensione fino agli ultimi giorni e proprio nella grande cena dimostra chi è il più grande, cingendosi il grembiule per lavare i piedi: «Vi ho dato l’esempio perché quello che ho fatto io lo facciate anche voi».

Ma perché Gesù lava i piedi?

Ci rifacciamo ad alcuni versi di Isaia: «Come sono belli sui monti i passi di chi annuncia la pace, di chi dice a Sion: regna il tuo Dio». L’intero corpo bagnato dalla Parola ha bisogno di essere lavato solo nei piedi per diventare messaggero, per portare la buona Novella. Anche a Giuda sono lavati i piedi, ma egli non entra in comunione con Gesù. Gli altri undici, dopo la ritrosia di Pietro, comprendono il misterioso gesto del Maestro. I loro passi annunceranno più tardi il reciproco perdono, la riconcilazione avvenuta, la Pasqua dei fratelli e delle sorelle. Quei piedi cammineranno, si porteranno presso le porte a bussare, a chiedere solidarietà e reciprocità, ma sono destinati anche ad arrivare alla via del martirio: «Anche voi berrete quel calice».

E’ anche la nostra fine, Gesù promette il centuplo, ma anche persecuzione e martirio per causa sua. E’ la fine sua e la fine di ogni discepolo/a che si è messo con cuore libero dietro a Lui fino alla croce. Gesù per noi ha pregato per questo, avendo fiducia in noi anche se fragili. Ci invia gli uni per gli altri, reciprocamente. Dobbiamo diventare credibili all’interno delle nostre comunità e allora lo saremo anche all’esterno, cominciando la via del perdono e dell’amore per primi. «La pace si fa nel perdono e nella giustizia» (Giovanni Paolo II°).

 

La fine umana è avvenuta: Cristo è morto per i nostri peccati… e piomba il silenzio sul mondo.

 

Dopo la grande tragedia della Crocifissione, della kenosis di Cristo, ci troviamo trepidi nel bagliore dell’alba dell’8° giorno.

Maria Maddalena e qualche altra donna avevano preparato con amore, e fra tacite lacrime, il rito delle sepoltura del corpo martoriato di Cristo. Sono ancora loro, dopo forse un riposo non avvenuto, che si avviano, portando oli profumati che potevano espandere la loro fragranza presso la tomba di Cristo e dire ancora la Sua presenza. Maddalena avverte che qualcosa di strano è avvenuto e sta ritta sulla porta del sepolcro dalla pietra rimossa e pensa subito al trafugamento. Cade allora su se stessa, non le rimane dinanzi che uno spazio vuoto, e questo vuoto è anche dentro di lei.

Una visione divina le dice che Gesù, il crocifisso, non è qui, e Maria Maddalena risponde con ansia accorata: «Ditemi dove l’hanno posto!». L’Angelo della Pasqua avvia su sentieri nuovi Maddalena, la porta al “giardino”, un giardino redento, non più quello dei progenitori. Maddalena, che avrebbe voluto morire come Elia, si sente chiamare per nome e il suo sguardo si gira, cambia anche l’atteggiamento interiore: dal ripiegamento su di sé, all’ascolto, alla novità di Dio. «Maria!», «Rabbunì!», «Noli me tangere».

Maria è resa repentinamente adulta, è invitata da Cristo a passare da un amore intimistico al dono, all’annuncio presso i fratelli e le sorelle, perché Gesù ora appartiene a tutti, come tutti appartengono a Lui perché li ha salvati. I piedi di Maddalena si muovono verso Pietro, Giovanni, per dire: «Ho visto il Signore!»

 

E’ questa la Pasqua: è vinta la morte, ogni morte anche personale fatta di frustrazioni e di fallimenti. Siamo mandate anche noi nel giardino a scoprire l’Ortolano che ci chiama per nome, il nostro vero nome e ci rialza dicendoci di non ricordare più le cose passate, ma di andare dai fratelli e dalle sorelle a dire una cosa sola, attraverso i nostri quotidiani servizi: «Ho visto il Signore!». E’ la missione della Chiesa, è la missione nostra, è l’esperienza pasquale celebrata nella comunità propria e dei credenti.

 

Le tappe del discepolato sono finite, ma per continuare in modo diverso: abbiamo vissuto la prima tappa nella ricerca anche scabrosa e siamo arrivate alla seconda tappa, quella pasquale, quella di Maddalena.

Ci chiediamo: ma chi è il vero discepolo fra quelli incontrati nel nostro itinerario spirituale? E forse concludiamo con la convinzione che questa discepola è Maddalena che ha visto il Signore risorto. «Ciò che abbiamo visto e toccato, noi ve lo annunciamo» (1Gv,1,5). Ed è sempre Pasqua!

 

 * Suora Orsolina del Sacro Cuore di Maria, incaricata per la formazione e il trimestre sabbatico, presso L’USMI nazionale.

 

   

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