n. 12
dicembre 2002

 

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"La mia vita da anziana"
nelle parole di suor Luisa Gamba

a cura di Rita Salerno
 

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L’autunno della vita letto con gli occhi e il cuore di una religiosa. Fase della vita da non sprecare in sterili rimpianti ma da dedicare, attimo per attimo, a cogliere il senso della vita e raggiungere la “sapienza del cuore”. Se è vero che la vecchiaia si propone come “tempo favorevole” per il compimento dell’umana avventura, non c’è persona al mondo in grado di incarnare, meglio di suor Luisa Gamba, questa straordinaria lezione. Non fosse altro che per i suoi ottantaquattro anni d’età. Suor Luisa ti colpisce subito. Energica, solida come una quercia, la religiosa appartenente all’ordine delle Francescane Missionarie di Maria non si perde in chiacchiere e va dritto al sodo. Non si cura degli acciacchi della terza età, non si lascia andare alle malinconie, ma guarda al tempo che Dio le ha concesso come a una grazia e una benedizione.

“La mia giornata si divide tra preghiera, lavoro e animazione spirituale ai nostri ottantacinque ospiti, per la maggior parte donne” – racconta con semplicità –. “Non perdo tempo dietro alla televisione, perché mi dà fastidio. Preferisco, quando posso farlo, dedicarmi alla lettura. Leggo sempre L’Osservatore Romano, ascolto la Radio Vaticana e i titoli dei telegiornali. Occorre tenere presente che non meno di quattro ore della mia giornata sono dedicate alla messa, all’adorazione, al rosario e alla meditazione. Poi c’è il mio lavoro in farmacia. E non dimentichiamo gli ospiti della casa di riposo privata dove presto la mia opera da cinque anni”.

 

  • Che età hanno gli ospiti?

 “Più di venti hanno superato i novant’anni. È appena mancata una di centodue. Tempo fa ci ha lasciato un’altra di centocinque. Due hanno raggiunto i novant’anni. Tra i sessanta e i settanta ce ne sono appena due. Il resto sono tutte più anziane”.

  • Il suo compito è di fare animazione spirituale alle sue anziane ospiti?

 “Sono ministro straordinario, quindi porto loro la Comunione. Mi offro di aiutare per andare a Messa. È nato un bel gruppo in questa casa, composto da una quarantina di persone, che non manca mai in chiesa la mattina. Ma per fare questo, occorre accompagnarle, portarle. Soprattutto, sostenerle e ascoltarle. Poi, qualcuna ha bisogno di essere imboccata. È un’assistenza concreta, la mia, fatta di piccole cose. Perché verifico anche che non manchi niente, che siano state servite bene. Testimoniare Cristo significa dare amore sempre, in ogni circostanza”.

  •  Che cosa ha appreso dai suoi pensionanti?

 “Ho cercato di far capire, ma non è facile, il valore della sofferenza. Capita spesso, infatti, che si lamentino per questo o per quel motivo. Non sono mai soddisfatte. È raro trovarne una disposta ad aiutare le altre persone, a interessarsi del prossimo. Per me tutto questo è motivo di ringraziamento al Signore per i doni che mi ha fatto”.

  •  Lei ha raggiunto l’invidiabile età d’ottantaquattro anni. Una vetta che, immagino, lei guarda con distacco ed emozione al tempo stesso. Come legge questo traguardo all’interno di un cammino vissuto in Cristo?

 “Con riconoscenza e amore. Perché considero la mia vita un grande dono di cui ho scoperto, man mano, nuove grazie. Non le ho scoperte tutte insieme, ma poco alla volta. Il Signore mi ha aperto piano piano nuovi orizzonti. L’immenso amore di Dio, questo lo devo dire dal profondo del cuore, mi ha circondato, mi ha guidato”.

  •  Quando ha sentito più forte questo straordinario affetto divino?

 “In certi momenti si sente di più. In altri di meno. Ho imparato a non fare conto su quello che si sente. Si va avanti, fidandoci. E dopo, il Signore fa il resto. È difficile poter ricordare, in base alla mia esperienza, i momenti più intensi e vivi di questo amore. Vado a memoria: uno, ad esempio, risale all’epoca della seconda guerra mondiale, era appena concluso un ritiro, mi trovavo in missione a Shanghai. Di quel momento ricordo proprio che ho pensato da subito che si trattasse di una grazia specialissima. Le bombe cadevano, insieme a un gruppo di suore andai in ospedale per cercare di prestare soccorso ai malati e ai feriti. Erano tanti. Chi senza braccia, chi senza gambe. Malgrado questo, la pace che c’era nel cuore era un dono speciale del Signore. Mi commuovo ancora. Nei momenti più difficili, questo lo posso testimoniare, c’è sempre una grazia meravigliosa. Penso, che chi si trova in difficoltà deve sentire in modo speciale questa corrente d’amore. Io, per prima, l’ho sperimentata. Dio è grande per tutti. Mica solo per me”.

  • Giovanni Paolo II ha appena beatificato la fondatrice della sua congregazione, Madre Maria della Passione. Un momento molto bello ed emozionante che lei personalmente ha vissuto con quale spirito?

 “Io ero a Roma quel venti ottobre, in cui la Chiesa ricorda la giornata missionaria mondiale. Ho gioito per la nostra fondatrice, Marie Heléne de Chappotin, che ha tanto sofferto in vita. È stata denigrata e destituita dalle autorità ecclesiastiche. Finalmente, ha trionfato la verità. Ora è stata riconosciuta dalla Chiesa. Tutto questo proprio grazie al Papa. Il suo è l’esempio lampante di una testimonianza di fedeltà al Vangelo anche nella sofferenza. Ho gioito per averla sentita così vicina per le sue intuizioni, per le sue aperture così straordinariamente attuali. Abbandono e fiducia totale in Dio, l’obbedienza, l’essenzialità e la missione: queste le coordinate dell’opera della nostra Madre. Mi sono sentita talmente piccola di fronte a tante meraviglie, di fronte a queste opere di Dio, di cui avrei potuto approfittare più in profondità. Mi ha fatto piacere anche incontrare, dopo tantissimi anni, tante sorelle. Insieme siamo andate a pranzo al Gianicolo”. 

  •  Torniamo indietro nel tempo. Quando è com’è nato questo desiderio di entrare a far parte dell’istituto missionario di Madre Maria della Passione?

“Sin da piccola Dio mi ha guidato. A mia insaputa. Ho avuto modo di conoscere diverse consorelle che hanno visto crescere la loro vocazione nella sofferenza. A me è stato risparmiato. Provengo da una famiglia esemplare, dieci fratelli, tutti educati nell’Azione cattolica. Ricordo le scuole di propaganda, poi le letture missionarie. Mi sono trovata senza fatica, al momento di scegliere la facoltà da frequentare, a indirizzare la mia volontà in una sola decisione. Papà ci voleva tutti laureati. Ho optato per Farmacia, anche se mi sarebbe piaciuto scegliere medicina, ma era troppo lunga. Il mio direttore spirituale mi propose di leggere una nota sulle Francescane Missionarie di Maria. In quelle righe ho trovato tutto quello che cercavo e desideravo. Mi sono laureata a giugno, a dicembre sono entrata in istituto a ventitré anni, alla fine del ‘40. Un percorso naturale e semplice, se si vuole. Ha fatto tutto il Signore, io sono stata trasportata”.  

 A distanza di tutti questi anni, come vede questo percorso?

 “Sento di dover dire grazie a Dio per il bene che mi ha dato. Ho ricevuto più di quanto potessi pensare od osare chiedere. Certo, spesso ho constatato la mia pochezza, la mia miseria. Però Dio è più grande e infinitamente misericordioso, specie nelle difficoltà l’ho sentito davvero molto vicino”.

  •  Immagino che ce ne siano state non poche in tutto questo tempo? 

 “Certo. In particolare, il periodo trascorso in Cina non è stato facile. Ho vissuto lì dal giugno del 1947 al luglio del 1954, poi sono stata a Macao fino al giugno del 1962. Posso dire che è stata un’esperienza di missione e di comunione nella Chiesa davvero profonda. Il vescovo ci aveva definito ‘i parafulmini della diocesi’. Ho vissuto accanto a sacerdoti, suore e laici impegnati totalmente nell’evangelizzazione, consapevoli di una persecuzione imminente. Difficoltà immense, compensate da grazia spirituale incommensurabile. Anni fecondi che mi hanno dato un’impronta indelebile. Di fiducia nel Signore, voglio dire. Quanta gente ho visto soffrire assai più di me, che serenamente pregava offrendo a Dio la propria paura e l’intera esistenza consacrata alla missione. Mi è capitato di conoscere un giovane seminarista che mi disse: “So che non arriverò al sacerdozio, ma intanto offro la mia vita per il Signore”. Quanti martiri ho conosciuto!”.

  • Ad ogni tappa della vita le sue difficoltà. Quali i problemi che deve affrontare oggi?

 “Debbo confessare onestamente di non averne. L’unico, semmai, è di non amare abbastanza il Signore, le mie consorelle e tutta la gente. Mi rammarico di non arrivare a fare il bene che vorrei perché il tempo sfugge a una velocità impressionante. Mi piacerebbe tanto leggere la Bibbia, i giornali, i testi della Madre fondatrice. Ma il tempo fugge. Per fortuna, non so cosa vuol dire la solitudine con ottantacinque ospiti desiderosi di parlare. Con Dio vicino non si è mai soli. Quel che desidero di più è avere più spazio per raccogliermi nel silenzio davanti al Signore. Cerco di farlo quando posso. E più che posso”.

  •  Se dovesse rivolgersi a una giovane che volesse seguire Cristo, che parole userebbe per farle capire l’importanza e il valore della sua decisione?

 “Io non direi mai di entrare in istituto e di farsi religiosa. Perché mi sembrerebbe controproducente. Suggerirei piuttosto di pregare molto e di cercare Dio nel silenzio, mettendosi in ascolto della sua Parola. Di non aver paura delle difficoltà. Una volta superate, assumeranno l’aspetto di una luce gioiosa in un cammino misericordioso. In cui troverà sempre più di quanto avrà donato. In cui non si pentirà mai di aver dato tutta se stessa. A patto di pregare sempre. Senza la preghiera, non farai niente. Se i genitori ostacolano la vocazione, pazienza. Tanto, poi, cambieranno idea. Sono stata per dieci anni vicino a tante novizie e conosco le difficoltà iniziali da superare e per esperienza dico che in seguito i genitori ringraziano Dio per la scelta della propria figlia”.

  •  Ripercorrendo a memoria le tappe della sua esistenza, quali immagini ricorda con piacere?

 “Ce ne sono tante. Una, ad esempio, è legata alla mia mamma morente sul letto e il rosario. Avevo undici anni. Fuori nevicava. Ricordo che è morta il mercoledì. Le sue ultime parole sono state: ‘ricordati di obbedire sempre a papà’. Non l’ho mai dimenticato. Un’altra è legata alla scuola di propaganda. Ma non è la sola. Mi vengono in mente i consigli del mio direttore, le persone che ho incontrato lungo il mio cammino. Madre Carla Elena, mia superiora. Anche i ritiri annuali. Tutto contribuisce a lasciare un segno indelebile nell’arazzo della vita”.

  • E i Papi, che ricordo conserva nel cuore?

 “Sono tutti uno più grande dell’altro. Papa Pio XII mi ha benedetta prima di andare in convento. Durante la guerra sono stata un anno in Vaticano. Ho vissuto da vicino l’esperienza di un pontefice davvero unico. Di Papa Paolo VI ho goduto le omelie. Avevo la raccolta e mi tornavano sempre molto utili. Di Giovanni Paolo II, invece, i ricordi sono molti perché sono stata sei anni in Vaticano. Quindi ho avuto tante occasioni di incontrarlo. L’ultima è stata la messa nella cappellina privata insieme a un medico cinese che ha vissuto tanti anni in prigione. Per me è facile vedere nel Papa attuale il ‘dolce Cristo in terra’ guidato dallo Spirito nelle braccia della madre”.

  •  Proprio Giovanni Paolo II ha scritto una lettera indirizzata agli anziani, suoi coetanei. Rileggendo questa bella missiva, quali spunti di riflessione le suggerisce?

 “Il Papa parla dell’autunno della vita. Dice che in quel periodo le foglie verdi assumono sfumature rosse. In vecchiaia le cose si vedono con uno sguardo diverso. Che ti permette di superare tante stupidaggini e aiuta ad andare all’essenziale. Poi, le foglie cadono e resta il Signore. Sto meditando in questi giorni il suo ultimo scritto, la lettera apostolica dedicata al rosario. Mi sta aprendo inediti orizzonti. Quante volte ho recitato il rosario e mai l’ho fatto, come lo presenta il Papa. Dio ci apre, davvero, ambiti sempre diversi e ci mostra la nostra miseria e la sua infinita misericordia. Ricordiamoci di contemplare sempre, come c’invita Giovanni Paolo II, il volto di Cristo”.

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