n. 5
maggio 2010

 

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Il cammino della gratuità

di ARMANDO MATTEO

 

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"Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?".
Metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti
"non lo so"
come quando dici
"perché no?" […]
Metti in circolo il tuo amore
come fai con una novità.
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "si vedrà"
come fai con una novità"
(LUCIANO LIGABUE)

La distanza che ci separa dal nostro prossimo non si misura solo nei passi che dobbiamo compiere per giungere ad ascoltare il suo grido d’aiuto e nel mettere all’opera le nostre energie per andare incontro alle sue esigenze. Non è mai solo una questione di distanza fisica. Né è mai una semplice questione di denaro. Vi è una più profonda disposizione di cuore, che alla fine dei conti decide se ascoltare quel grido d’aiuto oppure no, se porgere una monetina allo zingarello di strada oppure no, se rivolgere una parola buona al barbone che mi fissa oppure no, se versare un contributo di solidarietà oppure no.

Gratuità dice infatti di una generosità, di una solidarietà, di uno slancio d’aiuto che incrocia le richieste e le sofferenze, i bisogni e le urgenze che ci vengono incontro e che proviamo a soddisfare perché appunto qualcosa scatta dal cuore, dal di dentro. Senza pretendere nulla. Senza attendere nulla.

In verità, ogni giorno, tutti noi vediamo gli effetti davvero disastrosi di uno stile di vita così poco ispirato al principio della gratuità, del dono disinteressato, della cura e dell’accudimento di chi non potrebbe in alcun modo ricambiarci nulla. Le nostre metropoli occidentali nascondono, infatti, nelle loro pieghe più remote sacche di povertà, di sfruttamento, di miseria. E il sistema globale si regge sulle spalle dei poveri.

Ogni cosa viene valutata in termini di denaro, di rendita, di investimento. Il gesto della solidarietà è ridotto all’invio di un sms, in occasione di qualche tragedia. La rigida e ferrea legge del denaro ha trasformato i nostri cuori in blindate cassette di sicurezza, impenetrabili. La più recente crisi ha affinato il senso del risparmio, provocando pure un ritorno a una certa sobrietà che penalizza l’attenzione a chi la crisi l’ha subita più di noi.

È così allora che in modo paradossale, mentre sono aumentate le risorse mediamente a disposizione di ciascun occidentale rispetto al passato, è diminuito lo spazio della gratuità, della generosità, della solidarietà. Il dio denaro miete con generosità le sue vittime sia tra i suoi adoratori più devoti sia tra coloro che subiscono l’effetto perverso del suo culto. Come fare per avviare un cammino di riscoperta della gratuità? Come sperare di poter sbloccare il nostro cuore? E più precisamente: da dove iniziare?

Autorizzati ad amare

Ogni gesto di gratuità e di dono mette in campo, in verità, non solo il problema di altri che hanno bisogno, ma più radicalmente porta allo scoperto i nostri bisogni. Al centro della questione vi è, infatti, il rapporto che ciascuno ha con se stesso e con ciò che gli è necessario per potersi accogliere, volere bene e in ultima analisi amare. Che cosa mi autorizza a benedire la mia vita? Che cosa mi permette di accoglierla nella sua contingenza e nella sua invalicabile e irrevocabile finitezza? Che cosa mi porta ad essa pur sapendo che essa mi porta alla morte?

È qui che si decide del "come" ci si relaziona con gli altri.

Ed è proprio su questo punto che traspare nella sua lucentezza la parola che Gesù continua a rivolgere a ogni uomo e a ogni donna della terra. Rispetto alla logica ordinaria del mondo, per cui si crede che solo possedendo molte cose si sarebbe al centro dell’attenzione degli altri, suscitando il loro amore, che darebbe senso alla propria esistenza, egli invita a cambiare letteralmente prospettiva.

Gesù propone una conversione dello sguardo: non è dalle promesse degli altri o dall’abbondanza delle cose che possiedo o dal calcolo delle cose che potrei acquistare che debbo partire per decidermi se e in quale misura posso andare incontro agli altri e se vi è ancora spazio per una qualche forma di gratuità. Bisogna prima di tutto percepire un infinito sguardo d’amore posto sul proprio essere al mondo.

Amati, amiamo

"Ama Dio": è la prima parte del grande comandamento dell’amore. Si deve riconoscere, dunque, innanzitutto Dio quale presenza benedetta e benedicente sulla tua vita. Corrispondere al Suo amore. È questo che ci autorizza ad amare: ad andare incontro all’altro, con libertà di intenzioni. Solo dopo Gesù afferma: "Ama il tuo prossimo". Vi è pertanto un ordine, un legame, una legge, un cammino da compiere: dall’alto verso il basso, dal cielo verso la terra, dal cuore ricolmo di amore divino verso mani e piedi capaci di prossimità ospitale e gratuita.

Amato, posso amare. Accolto, posso accogliere. Ospitato, posso essere ospitale. Se è così, allora posso evitare di sottopormi al ricatto che gli altri mi tendono come prezzo da pagare per ottenere il loro amore. Se è così, posso sciogliere i mille legami iniqui che stringo o che impongo di stringere per dare all’altro un pezzo del mio amore. Se è così, possiamo andare l’uno incontro all’altro con generosità.

La priorità dell’amore di Dio scioglie d’un tratto il groviglio delle reti che gli uomini e le donne si gettano l’un l’altro e che molto spesso finiscono per intrappolarli e soffocarli. Nel segno dell’amore di Dio - di un Dio che siamo invitati a riconoscere come Padre - possiamo effettivamente creare spazi di un incontro gratuito, dove l’appello e il volto dell’altro diventino davvero un mio inter-esse, un qualcosa che mi tocca nell’essere: nell’essere appunto fratelli di un unico Padre.

Questo mondo non è il paradiso

L’intera vicenda di Gesù di Nazaret si è così consumata nel tentativo di estendere questa autorizzazione ad amare a ogni uomo e a ogni donna. Non ha lasciato fuori nessuna possibilità dell’umano (il peccatore, il malato, il ricco, il povero, il potente, il ferito, l’uomo in ricerca, lo straniero), giungendo sino all’estremo della croce: luogo di rivelazione per eccellenza.

Dalla e sulla croce Gesù dichiara che l’amore che Dio ha per ogni uomo è indefettibile: niente può stravolgere quel "sì" rivolto a ciascuno di noi in un "no". Neppure la violenza, neppure l’ingiusta calunnia, neppure la condanna alla morte e a una morte maledetta. Quell’autorizzazione ad amare vale anche per i Sommi Sacerdoti, vale anche per Pilato, vale anche per il popolo che lo rifiuta, vale anche per i soldati che lo umiliano e lo crocifiggono. Vale anche per Giuda, che lo tradisce.

La croce però è parola penultima. L’ultima parola di Dio è il Crocifisso Risorto: è un Dio che mette una croce sulla morte, la incrocia e la apre al mistero più profondo dell’amore.

Possiamo dunque generosamente andare incontro all’altro non solo perché siamo preceduti da un amore gratuito ed irrevocabile di Dio ("Dio ti ama infinitamente di più di quanto tu possa immaginare": questo è il vangelo bello di Gesù), ma soprattutto perché nella Pasqua il credente scopre la verità di questo mondo, scopre che questo mondo è sempre e solo penultimo. Non è il paradiso! Questa è la rivoluzione della croce gloriosa di Cristo: una definitiva apertura dei nostri occhi sul destino e sulla vera consistenza di questo mondo. Questo mondo è "figura", "segno", "anticipo ", "caparra", "spazio di attesa e di invocazione". Non è ultimo.

E se è così, allora non possiamo chiedere a questo mondo di essere il paradiso. Non possiamo chiedere alle cose di questo mondo di portarci il cielo in una stanza. Non possiamo neppure chiedere agli altri di sciogliere completamente la fatica del nostro essere al mondo. Siamo appunto tutti in cammino.

Eppure la realtà dei nostri giorni ci restituisce un’immagine ben diversa: uomini e donne che bussano al cuore di questo mondo chiedendogli di essere il paradiso e finiscono per ritrovarsi in un inferno, a causa di spropositate pretese, irraggiungibili obiettivi, attese eccessive. Uomini e donne che si creano un vero e proprio piccolo inferno domestico e lavorativo, a causa di promesse non mantenute, di subdoli ricatti, di sottili prevaricazioni. Uomini e donne che creano spazi di inferno per gli altri, sfruttando situazioni di povertà, di minorazione, di disagio, di scarsa cultura.

Che cosa resterebbe allora oggi della parola e della realtà della gratuità?

Ciò che conta

Per tutto questo si dovrà riconoscere che quello della gratuità è un cammino profondo e faticoso, che investe propriamente l’immagine che ciascuno ha di se stesso e del suo essere al mondo e infine l’immagine stessa di Dio.

Appunto di quel Dio, che l’Occidente ha in gran parte smarrito. Ha davvero ragione il Papa, quando afferma che "il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più".

E proprio questo è il punto: quando Dio scompare dall’orizzonte della storia, la storia diventa l’unico orizzonte, lo sfondo unico e univoco di senso, incapace di restituirci la verità di se stessa e di noi stessi. Potente ritorna allora una riflessione del cardinale Henri De Lubac: "Non è che l’uomo non possa costruire il mondo senza Dio, è piuttosto vero che lo costruirà contro l’uomo ".

Riflettere sulla gratuità significa quindi riconoscere che solo il pensiero di Dio è in grado di salvaguardare una convivenza tra gli uomini sottratta al domino delle passioni e alle passioni del dominio, al potere dei soldi e ai soldi del potere, alla forza dello scambio e allo scambio della forza. Il pensiero di Dio - il pensiero che Dio è amore - ci ricorda, infatti, che il nostro primo ed elementare compito di uomini e di donne, creati a Sua immagine, è quello di aumentare l’amore presente in questo mondo: aumentarne le riserve di generosità, di solidarietà, di fraternità, di gratuità. Di mettere e mantenere in circolo tutto ciò. Tutto ciò che davvero conta e non è destinato a perire.

Armando Matteo
Assistente Nazionale FUCI
Via F. Marchetti Selvaggiani, 22
00165 Roma
 

 

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