n. 10
ottobre 2002

 

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C'È UN TEMPO PER...
di Maria Pia Bonanate
 

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C’è un tempo per abbracciare
e un tempo per astenersi dagli abbracci (Qo 3,5)

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Braccia di bimbi che si stringono al tuo collo e ti sussurrano nella loro lingua, a volte appena balbettata, parole di amore e di richiesta di amore. Bimbi di casa nostra, non mai abbastanza amati, come essi ci chiedono di essere amati, e non come noi pensiamo di doverli amare. Bimbi del mondo, di quello dove la fame, la violenza, l'abbandono, compiono ogni ora del giorno e della notte una sempre rinnovata strage degli innocenti. Sono gli abbracci più struggenti che abbiamo ricevuto in certi momenti di grazia che forse non siamo stati in grado di cogliere in tutta la loro intensa, infinita bellezza di gesto spontaneo e gratuito, di comunicazione da cuore a cuore, in quell'unione fisica che permette alle anime di compenetrarsi e alle emozioni di trasformarsi in pulsazioni che hanno rintocchi d'infinito.

 Braccia di donne e di uomini, di parenti, amici e conoscenti, che nella maturità di uno slancio che copre le parole e crea un'intimità fra i corpi più eloquente di ogni discorso o dichiarazione, attirano nel cerchio della loro fisicità calda, profondamente umana. Trasmettono nel vigore di una sensualità, non necessariamente genitale, una percezione di reciproca appartenenza al comune destino terreno, di donazione e di comunione che spezza le solitudini individuali, permette di uscire dai limiti spesso pesanti del proprio corpo e delle sue fatiche per fondersi nel corpo dell'altro fino ad altezze misteriose in cui risuona l'atto supremo della donazione divina: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo». Braccia di chi si spende ogni giorno sulle frontiere del mondo dove l'eucarestia inizia la mattina nelle strade delle periferie annegate nei mali dei nostri tempi, nei miasmi delle bidonvilles e degli slum, fogne a cielo aperto dove aspettano di morire senza speranza milioni di persone schiacciate dalle ingiustizie planetarie di un mondo di poveri sempre più poveri e di ricchi, pochi, sempre più ricchi. Donne e uomini, consacrati e laici, che nell'abbraccio stretto e vigoroso, ossa contro ossa, pulsazioni contro pulsazioni, ti fanno sentire la presenza fisica del Cristo vivente nell'ultimo fra gli ultimi.

 Braccia di coniugi che nell'unione, resa incandescente dall'amore di una donazione reciproca, fanno esplodere il miracolo della creazione, portano nel territorio misterioso della vita che nasce da un atto di bellezza, di armonia, di accoglienza, da una compenetrazione dei corpi che diventano una carne sola e un'anima sola per dilatare le potenzialità individuali, per sommare e completare le infinite possibiltà di esistere e di conoscere.

 Sono «il tempo per abbracciare», per realizzare, attraverso l'unione fisica quella comunicazione che passa attraverso i sensi per accedere ai territori del cuore e dell'anima, della mente, a conferma di quell'unione fra spirito e corpo che è stata drammaticamente spezzata da una separazione che, idolatrando l'immagine e dimenticandone il significato divino, ne ha svuotato l'intimità e gli spessori umani ed eterni. Ma che ha anche svuotato lo spirito di quel sangue che permette l'incarnazione nell'altro, diventando filosofia e teologia astratta, memoriale e non vita vissuta attraverso i fratelli e con i fratelli, nelle pieghe oscure delle loro emozioni, passioni, ansie, gioie e stupori.

 Abbiamo bisogno oggi di moltiplicare «il tempo per abbracciare», di estenderlo a tutto il mondo che ci circonda da vicino e da lontano in un immenso, infinito gesto di unità, quella di cui Chiara Lubich ha fatto la divisa del suo movimento, quella che ognuno di noi può ogni mattina, all'inizio del giorno estendere a tutto il pianeta, ai suoi abitanti, alla natura così offesa. Questo gesto, compiuto fisicamente e metaforicamente, è la preghiera che supera le barriere geografiche, le razze, le provenienze, le categorie sociali ed umane. Riporta a quell'infanzia che prima di esprimersi, abbraccia in un'attesa che troppo spesso viene tradita. Se Dio è soprattutto Amore, se Dio ci ha amati e ci ama fino al sacrificio di suo Figlio, l'incontro con Lui non può non essere quello di un abbraccio che contiene il mondo e le nostre piccole esistenze. E' rassicurante e infinitamente consolante pensare alle braccia dell'Eterno che stringono questo povero pianeta con tutto quanto lo abita.

Ma allora perché «astenersi dagli abbracci»? Che cosa significa che c'è un tempo per distaccarsi da questa unione, per separarsi dal bene realizzato nell'intimità fisica e spirituale della comunione?

 La risposta non può essere che nella saggezza di un alternarsi di momenti che proprio per raccogliere i frutti completi del loro avvicendarsi hanno bisogno di separarsi. Valga per tutti l'esempio dell'unione fra uomo e donna per amarsi e procreare, il più intimo gesto dell'abbraccio umano. Gettato il seme, viene la stagione della raccolta, della nascita del figlio che richiede un distacco necessario perché l'esito stupendo e miracoloso dell'abbraccio abbia il suo seguito. A testimonianza che l'amore per diventare sempre più grande e infinito, come Colui dal quale procede, deve andare oltre le nostre persone fisiche, i nostri stessi sentimenti, emozioni e desideri.

 Vale anche per l'abbraccio che non procrea fisicamente, ma suscita nuove possibilità di vivere, sperare e crescere nel mistero che si appaga soltanto nella condivisione e nell'accoglienza reciproca. Ma per partorire l'Amore dobbiamo rientrare nella solitudine delle nostre esistenze, trovare gli spazi e le pause necessarie per rielaborare i frutti della nostra unione in modo che non si esauriscano in egoismi, appropriazioni, possessi, domini, sopraffazioni. E' il tempo dell'astenersi, del distaccarsi non per un commiato definitivo, per un abbandono senza ritorno. Ma per poter acquisire tutti i significati profondi di quell'abbraccio che è divenuto il nostro linguaggio universale. Per offrire alla creatura che nasce (figlio, rapporto, opera, progetto) di trovare un suo spazio autonomo, mentre ci si prepara con coscienza e sentimenti rinnovati dal tempo della separazione al nuovo tempo dell'abbraccio.

Il Dio che ci tiene nelle sua braccia, fra un abbraccio e l'altro, sa anche trovare i tempi per lasciarci camminare da soli.

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