n. 5
maggio 2002

 

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La visita canonica
Indicazioni di metodo
e linee programmatiche

di
Pier Luigi Nava

 

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Premessa

La «visita canonica» classica era un evento che, fino agli anni immediatamente post-conciliari, riceveva nella mentalità e prassi della vita consacrata una indubbia considerazione disturbata anche da una certa apprensione: non poche volte, in quell’occasione, si ponevano le premesse di futuri trasferimenti. Successivamente è sorto un certo imbarazzo anche nell’utilizzo lessicale dell’attribuzione «canonica». Tende quasi a scomparire. Si coniano nuove varianti: da «visita fraterna» a «visita pastorale» [sic!] o più semplicemente subentra la diffusa parola «verifica» i cui contorni rimangono indefiniti quanto la rispettiva finalità e le modalità di realizzazione. Questa incertezza segna ancor oggi la prassi di non pochi istituti maschili e femminili. In particolare chi non può vantare una tradizione secolare. Gli Ordini dei Mendicanti e dei Chierici Regolari hanno prodotto una normativa che ne definiva con rigore anche le più minute procedure. Si tratta, dunque, di recuperare il valore che tradizionalmente ha espresso questa antica disciplina regolare e ri-significarlo nell’attuale contesto della situazione socio-ecclesiale della Vita Consacrata.

Si presentano, dunque, alcune indicazioni di metodo - senza pretesa di potersi contestualizzare per ogni situazione - ma rivolte in particolare a istituti centralizzati con «struttura a rete» delle comunità a livello nazionale o regionale. Dopo aver richiamato brevemente la legislazione codiciale (can. 628 §1), si puntualizzano gli obiettivi istituzionali ed ecclesiali della visita canonica. Infine si suggeriscono alcune linee programmatiche per dare senso e un minimo di efficacia a una prassi che investe la responsabilità di governo dei Superiori Maggiori.

1. Indicazioni di Metodo

«I Superiori […] visitino con la frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi alle norme dello stesso diritto proprio». La portata del can. 628 § 1 consiste nel ricordare l’obbligo di questa visita ("visitent") . Il diritto proprio (Costituzioni-Direttorio o analoghi) "deve prevedere visite periodiche determinate ("statis temporibus")1. Visite che aprono un dialogo personale e comunitario. Fatta salva la libertà di ognuna di esprimersi o meno con la Superiora. Tuttavia è indubbio il diritto della medesima di informarsi - secondo prudenza e discrezione - delle situazioni personali e comunitarie. La Superiora «ha il diritto di conoscere, e i religiosi hanno il dovere di manifestare, tutto ciò che riguarda la vita e la disciplina religiosa tanto nell’insieme quanto per ciò che si riferisce ai singoli religiosi, particolarmente ai superiori, secondo lo spirito e la natura di ciascun istituto. Per esempio, non sono legittime, e i religiosi non sono tenuti a rispondere, le domande riguardanti il foro interno o la vita strettamente intima sia propria o degli altri, oppure le faccende di parenti"2. Non viene imposto ai singoli religiosi l’obbligo di presentarsi alla Superiora, "però l’obbligo nasce se il visitatore lo impone»3.

Dopo aver accennato alla normativa codiciale sulla visita canonica prendiamo spunto da un passo di D. Bonhoeffer per esplicitare quello che ho convenuto chiamare obiettivo istituzionale ed ecclesiale della visita canonica: «[...] i carismi, dati ai singoli dallo Spirito santo, sono rigorosamente disciplinati dalla diaconia alla comunità, poiché Dio non è Dio del disordine, ma della pace (1Cor 14,32ss.). Lo Spirito santo si rende visibile [n.s.] (phanér?sis 1Cor 12,7) appunto che tutto si compie per il vantaggio della comunità […] Così la comunità è senz’altro libera nel dar forma ai propri ordinamenti secondo la necessità; ma se il suo ordinamento viene intaccato dall’esterno, allora si intacca la forma visibile dello stesso corpo di Cristo»4.

In altri termini si può configurare l’obiettivo di una visita canonica in due dimensioni strettamente complementari:

  • una verifica della visibilità del quadro valoriale (Regola) della comunità ("forma visibile dello stesso corpo" = obiettivo istituzionale)

  • e se quest’ultima interagisce ecclesialmente secondo un progetto d’Istituto ("diaconia alla comunità" = obiettivo ecclesiale).

Presentiamo, ora, alcuni spunti di riflessione inerenti ai suddetti obiettivi.

1.1. Obiettivo istituzionale: visibilità della Regola

L’efficacia di norme e regolamenti richiama di riflesso l’effettiva conformità alle nostre regole di vita. In periodi di crisi delle regole si invocano e si pretendono regole. Tutti venerano le regole e chiedono comunque che tutti, cioè gli altri, le rispettino. Si parla di regole soprattutto quando le esistenti sono incerte o insoddisfacenti per molti, quando si avverte l’esigenza di nuove. E’ difficile sostenere la centralità delle regole nell’attuale panorama della Vita Consacrata. Ciò dicendo non si vuol sminuire la loro indubbia rilevanza per l’identità istituzionale ecclesiale di una famiglia religiosa e anche per lo stesso orientamento vocazionale alla vita consacrata. Per secoli, infatti, vita regolare è stata sinonimo di vita religiosa. Si tratta di prendere atto con umiltà e lucidità che l’autocomprensione del gruppo - intesa come interpretazione condivisa dei valori di una identità consacrata - sembra non avere più nelle regole il suo riferimento d’obbligo. Non è qui il caso di aprire una riflessione su di una problematica assai complessa.

Si vuol semplicemente recuperare - attraverso la modalità della visita canonica - un esercizio di ri-coesione della comunità a un quadro valoriale assunto tradizionalmente dalla Regola nella consapevolezza che la conformità alle regole non è vissuta da noi perché ciascuno si aspetta che tutti gli altri si conformino5. Se la personale adesione si fondasse sull’aspettativa di una conformità quasi universale, significa che si preferisce osservare una norma a condizione che quasi tutti la osservino. La conformità di cui si vuol discorrere è in stretta connessione all’interpretazione delle regole come risorsa di coesione (spirituale, istituzionale, ecclesiale e disciplinare…) a disposizione della comunità per una verifica di coerenza su due aspetti strettamente complementari:

- di analisi della rilevanza delle regole per determinati problemi legati all’interazione comunitaria;

- e se le regole facilitano la soluzione di problemi per accrescere il benessere di tutti i componenti della comunità.

Per estrema sintesi: se le regole continuano a ricevere senso dalla condivisione comunitaria o, forse caso più frequente, se alimentano un conformismo di routine che rischia di renderle carenti di senso. «Le regole ci incoraggiano a considerare noi stessi come fondamentalmente simili agli altri, anziché come fondamentalmente diversi. Ognuno di noi è una collezione unica di particolari, e l’unicità è un concetto centrale dell’individualismo. Nella misura in cui un metodo per pensare o per prendere decisioni sottolinea e dà rilievo a questa unicità, a ciò che ci rende diversi da altri, a ciò che vogliamo, al perché il mio caso è speciale, questo stesso metodo opera come filtro e impedisce di vedere l’agente individuale come parte di un gruppo. Distogliendo la nostra attenzione dall’unicità e dalla diversità, le regole possono incoraggiarci a vedere il nostro benessere come inestricabilmente legato e dipendente da quello del gruppo e ci scoraggiano dall’invocare l’unicità di una situazione o pretendere l’unicità di trattamento. Le regole possono quindi svolgere un ruolo centrale nel funzionamento di ogni azione di gruppo concepita secondo linee fortemente comunitarie. Esse giocano un ruolo persino nelle attività comunitarie che coinvolgono membri egoisti di un gruppo concepito egoisticamente: più specificamente, è importante fare un’analisi della rilevanza delle regole per un certo numero di problemi legati all’azione collettiva, e vedere se facilitano la soluzione dei quei problemi e quindi accrescono il benessere di tutti i membri del gruppo che seguono le regole»6.

Si accennava sopra che la visita canonica può essere l’occasione propizia per un esercizio di ri-coesione della comunità. Il motivo si contestualizza nel fenomeno di quello che Z. Bauman ha configurato come crisi delle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza della comunità». La crisi investe in modo particolare le società industrializzate. «Si sarebbe tentati di dire - osserva il noto studioso - ‘di una comunità coesa’, se questa espressione così spesso usata non fosse pleonastica: nessuna aggregazione di essere umani viene vissuta come una ‘comunità’ a meno che non sia resa ‘coesa’ da profili saldati da una lunga storia e da una ancor più lunga aspettativa di frequente e intensa interazione. E’ questa esperienza che oggi viene a mancare, ed è la sua assenza che viene interpretata come ‘declino’, ‘scomparsa’ o ‘eclissi’ della comunità»7. La Regola appartiene alle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza della comunità» nella Vita Consacrata e s’intesse nella comune narrazione di un istituto e di una comunità. L’evento della visita canonica dovrebbe verificare - nella struttura a rete delle nostre comunità - se la visibilità della regola è vissuta come risorsa di coesione che dà coerenza alla comune narrazione8.

1.2. Obiettivo ecclesiale: progetto d’istituto

Il secondo obiettivo - complementare al precedente - è la verifica della condivisione di un progetto d’Istituto. Il senso di una progettazione - all’interno dell’esperienza storico-ecclesiale della Vita Consacrata - si coglie dentro un processo di discernimento istituzionale ed ecclesiale avviato a partire da criteri derivati dal carisma fondazionale9. Progettazione che inscrive una necessaria premessa: la consapevolezza che l’unico disegno adeguato sulla realtà e sulla propria comunità è quello di Dio. Esso si manifesta concretamente attraverso le circostanze e i segni dei tempi. La forza del carisma particolare, in nesso costitutivo con la Chiesa, consiste nel saper leggere e cogliere questi ‘segni’ come momento favorevole per l’edificazione di tutta la realtà ecclesiale.

L’adesione a un progetto d’Istituto diventa significativo per una comunità - e per i singoli - nella misura in cui esso diventa segno concreto della rinuncia a progettarsi la vita da se stessi; rinuncia originata da una chiamata alla libertà che si riconosce nella adesione al disegno di Dio, misteriosamente comunicatoci nella persona di Cristo, morto e risorto e datore dello Spirito senza misura. Aderire a quanto viene indicato autorevolmente - mediante un progetto - come atto di libertà, diviene manifestazione (= visibilità) di una appartenenza a una comunità concreta, a sua volta espressiva dell’appartenenza alla Chiesa, in cui la persona è resa a se stessa nella concretezza della sequela interpretata da un carisma fondazionale10.

Quest’ultimo ‘funziona’ anche a partire dalla sua capacità di fornire uno schema di correttezza interpretativa (= paradigma) per l’individuazione sia di problemi ‘fuori’ (problemi di annuncio, di missione, di organizzazione dei servizi, di progettazione pastorale, scolastica, sanitaria, di servizi sociali) sia di situazioni ‘dentro’ (problemi di regolazione della vita comune, di progettazione formativa, di gestione delle risorse, ecc.). Il paradigma assunto dal carisma ci pone anzitutto nella condizione di discernimento comunitario: cioè un pensare e un agire dal punto di vista della Chiesa e non immediatamente dal ‘nostro’ punto di vista. In questo senso il carisma fondazionale elabora anzitutto un paradigma ecclesiale e - in stretta correlazione - un paradigma istituzionale. Si tratta, beninteso, del medesimo paradigma letto nella sua differenziazione relazionale (Chiesa-Istituto) all’interno della communio Ecclesiarum11.

In quest’ottica il campo d’intervento della visita canonica non è rinchiuso all’interno del ristretto orizzonte dell’Istituto, ma apre la comunità a una prospettiva di «comunione ecclesiale [che] promuove un modo di pensare, parlare e agire che fa crescere in profondità e in estensione la Chiesa» (VC n. 46). «Il discernimento compiuto alla luce della rivelazione - scrive mons. R. Fisichella - possiede, alla fine, un unico soggetto: la Chiesa. È evidente la presenza e la realtà del discernimento personale e di uno comunitario a seconda delle diverse situazioni, ma alla fine il vero discernimento è quello che viene compiuto alla luce dell’ecclesialità [n.s.]. Più, infatti, cresce la coscienza ecclesiale di ognuno, più ci si sentirà parte di un mistero che, incarnandosi nella storia, raduna tutti come un unico popolo raccolto intorno alla legge della carità»12.

Dopo aver abbozzato l’obiettivo istituzionale ed ecclesiale di una visita canonica, si suggeriscono alcune linee programmatiche intese a coinvolgere direttamente le comunità in questo evento per non ridurle a ruolo di comparsa lasciando l’onere del protagonista al solo Superiore Maggiore.

 

2. Linee Programmatiche

Una discreta percentuale degli Istituti di Vita Consacrata religiosa - a direzione centralizzata - residenti sul territorio italiano si configurano a marcata composizione regionale o interregionale13. Questi Istituti richiedono in via preferenziale un intervento di settore: formazione, scuola, assistenza, pastorale parrocchiale ecc…; in altri termini l’obiettivo/i della visita canonica investono primariamente la verifica di un settore-dimensione istituzionale. Diversamente in una situazione regionalizzata la visita canonica tradizionale non produrrebbe risultati particolarmente significativi. In concreto la composizione dell’Istituto postula una s-composizione dei settori. Le istituzioni regionalizzate creano - nel tempo - una rete interdipendente di distribuzione di risorse, ovvero chi è nel circuito assistenza minori e handicap difficilmente ne esce solo dopo qualche anno; così pure chi è nel mondo della scuola. Pertanto la visita canonica si sintonizza con il circuito delle risorse di settore per attivare in simultanea anche la verifica del medesimo.

2.1. La comunità e/o settore

Il campo d’intervento (comunità e/o settore) è evidenziato mediante un incontro comunitario: le sorelle redigono una griglia di lettura del vissuto

  • secondo lo schema delle Costituzioni (identità-missione carismatica, vita fraterna in comunità, professione comunitaria dei voti, servizio dell’autorità, amministrazione dei beni ecc.) richiamando anzitutto gli aspetti positivi della situazione e successivamente i problemi. In quest’ultimo contesto la comunità è chiamata a definire una priorità d’intervento, ovvero sottolinea un’urgenza (= aspettativa diffusa) di cui viene investita la responsabilità di discernimento dell’autorità;

  • secondo lo schema per es. del "Paradigma progettuale" del Capitolo generale14 o delle tradizionali «Delibere e Orientamenti». Nulla vieta che questa soluzione sia componibile con la precedente. Si tratta di con-venire con la comunità interessata l’opportunità della suddetta verifica.

Non si tratta di ‘scaricare’ addosso alla Superiora la soluzione di/del problema/i - la visita canonica non è il pronto intervento di un problem solving - ma di presentare in termini di correttezza e appropriatezza il quadro di una situazione mediante la quale il gruppo richiede un supplemento di discernimento. La prospettiva di analisi sopra menzionata ha a cuore che la comunità si assuma in prima istanza la responsabilità di capire la sua situazione (autodiagnosi) prima di invocare dall’alto interventi risolutivi che la comunità potrebbe da sola assumerne il carico. Senza questo previo processo di mentalizzazione il successivo apporto della visita canonica ne risulterebbe inficiato. Vale a questo proposito il richiamo dell’ex-Maestro Generale dei PP. Domencani, p. T. Radcliffe: «Una delle ragioni per cui sfuggiamo alla responsabilità è che, benché chiamati alla libertà, la libertà ci spaventa e la responsabilità è gravosa, perciò siamo tentati di evitarla. Abbiamo parecchi livelli di responsabilità nell’Ordine, e spesso ci piace immaginarla a un livello diverso da quello in cui deve essere esercitata. ‘Si deve fare qualcosa’, ma di solito deve farla qualcun altro, il superiore, o il Capitolo, o addirittura il maestro dell’Ordine". ‘Deve agire la provincia’, ma cosa è la provincia se non noi stessi? […] dobbiamo identificare la responsabilità che è propriamente nostra, e farcene carico»15.

2.2. Il supplemento di discernimento: l’apporto della Superiora generale e suo Consiglio

La comunità e/o settore redige per iscritto l’autodiagnosi - un testo sobrio e sintetico - in cui letteralmente enumera (1.2.3…) le situazioni di possibile intervento della Superiora sottolineando la priorità condivisa da tutte. E’ superfluo rilevare che anche altri aspetti di urgenza potrebbero emergere, tuttavia si rimanga nella determinazione di un orientamento supportato dall’unanime consenso.

Da questa premessa la Superiora Generale e suo Consiglio valutano attentamente il report della comunità e/o settore e concordano una linea comune d’intervento a partire dalla priorità condivisa. La direzione generale non si limita a prendere atto di quanto è stato sottoposto alla sua attenzione, ma individua anche un orientamento di convergenza, ovvero un obiettivo a cui la comunità è (sarebbe, oggi il condizionale è d’obbligo) invitata a prendere in seria considerazione per un suo cammino di conversione nel reciproco ascolto. L’orientamento di convergenza è suggerito dopo la visita personale della Superiora alla comunità ed è il risultato di una condivisione con il Consiglio.

2.3. Visita canonica: ovvero del reciproco ascolto

Una strategia collaudata prevede prima l’ascolto delle singole sorelle. Ciò comporta che i tempi di programmazione della visita possano essere flessibili. Concretamente si potrebbe concordare con la comunità e/o settore quale sia il momento del colloquio personale e il successivo incontro comunitario. Quest’ultimo - ripeto - deve essere preceduto dal colloquio personale ‘in situ’.

Dopo il colloquio personale - gestito con la più ampia libertà da entrambe le parti - la Superiora redige un suo ‘report’ personale. Il testo rimane riservato. Il Consiglio è informato solo degli esiti a risvolto comunitario (dinamiche relazionali, comunicative e gestionali). Il contributo fornito dagli incontri personali della Superiora e l’apporto redatto dalla comunità e/o settore, sono il contesto dal quale si enucleano criteri di discernimento che orientano il confronto comunitario guidato dalla medesima Superiora.

In questo contesto s’intendono per criteri di discernimento gli indicatori valoriali - desunti dal patrimonio fondazionale o dal paradigma progettuale - che in situ rispecchiano la situazione reale della comunità. Per es., se in un settore si constatasse una problematica relazione interpersonale che produce riflessi negativi anche a livello di organizzazione dei servizi, gli indicatori valoriali interpretano il campo d’intervento di cui è investita la responsabilità della Superiora ed in stretta relazione la corresponsabilità della comunità. Il risultato di quest’incontro dovrebbe produrre l’orientamento di convergenza successivamente comunicato per iscritto dalla direzione generale unitamente anche a delle indicazioni pratiche che investono la regolazione-programmazione comunitaria (orari, servizi, relazioni esterne, impegni pastorali ecc…)

2.4. Percorsi di programmazione

1. La Superiora generale [e suo Consiglio] indicono la visita canonica mediante lettera circolare in cui viene enucleato l’obiettivo della medesima e il cronogramma programmatico (calendario visite). La serietà esige che venga rispettato. Solo per casi eccezionali si potrebbe modificare.

2. I colloqui personali possono avvenire in situ in tempi distanziati, ma non eccessivamente dilazionati. Se una sorella per motivi personali non se la sentisse di affrontare il colloquio gli si dia la possibilità di mettere per iscritto quanto vuol comunicare.

3. Il contesto meglio indicato per l’incontro comunitario con la Superiora potrebbe essere la giornata di ritiro mensile.

4. La scaletta dei criteri di discernimento è presentata alla comunità solo in occasione della visita e funge anche da o.d.g.

5. Una sorella redige i verbali dell’incontro successivamente letti e approvati dalla comunità e inviati alla direzione generale. Copia dei medesimi è conservata dalla comunità.

6. La lettera mediante la quale la Superiora comunica gli esiti della visita e formula l’orientamento di convergenza (oltre alle indicazioni pratiche) è inviata preferibilmente in simultanea a tutte le comunità e/o settori.

7. Se la direzione generale lo giudica opportuno i risultati globali della verifica-valutazione del cammino dell’Istituto, desunti dalla visita canonica, possono essere comunicati mediante lettera circolare in concomitanza ad una particolare festa o solennità propria dell’Istituto.

 

Conclusione

Rivalutare la funzione della visita canonica non è in ossequio formale a un dettato di legge: «La comunità, che è separata dal mondo, deve applicare al suo interno la disciplina comunitaria. La disciplina comunitaria non serve a costituire una comunità di perfetti, ma solo all’edificazione di una comunità di persone che vivono veramente della misericordia di Dio a caro prezzo»16 . Non solo. Si tratta di un esercizio, realizzato insieme, di grammatica del consenso sui valori dell’identità consacrata per elaborare un linguaggio ecclesiale, spirituale e un orientamento progettuale - in senso ampio - realmente condiviso che dia senso al nostro stare insieme di fronte al Signore.

 

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