n. 5
maggio 2002

 

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Maria di Nazaret figlia del padre e sorella nostra
di Maria Marcellina Pedico

 

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Nel titolo figurano due termini caratteristici nella catena relazionale, quello di «figlia» e l’altro di «sorella». Essi sono rivolti a Maria che è considerata nel suo essere figlia in rapporto al Padre, radice fontale di ogni relazione; e nel suo essere sorella in rapporto a noi, appartenendo all’unica famiglia umana.

Indugiare a riflettere su questi titoli riferiti alla Vergine Madre è motivo di intensa gioia e di grande interesse per noi. Ci aiutano a capire meglio chi è Dio Padre e chi è la persona umana, e quale rapporto s’intreccia tra loro. Si tratta in fondo di prendere maggiore consapevolezza della nostra esistenza filiale e fraterna.

 

1. La qualifica di «figlia» in Maria

Come i tanti pellegrini che affollano i santuari mariani siamo abituati a invocare Maria con i titoli che si riferiscono alla sua divina maternità (Madre di Dio, Madre della Chiesa, Madre della divina grazia...), oppure alla sua verginità (Vergine potente, Vergine clemente, Vergine fedele...), o ancora alla sua regalità (Regina degli angeli, Regina dei patriarchi, Regina dei profeti..). Siamo meno familiarizzati e quasi dimentichi invece di attribuirle il titolo di «figlia». Nondimeno la Lumen gentium riferisce a Maria tre appellativi che la qualificano per la sua filialità: «figlia prediletta del Padre» (n. 53), «figlia di Sion» (n. 55), «figlia di Adamo» (n. 56). Anche la lettera apostolica Tertio millennio adveniente di Giovanni Paolo II ribadisce il titolo «figlia prescelta del Padre» (n. 54). In verità, la qualifica di «figlia» riferita alla Vergine non è di secondaria importanza per comprenderne appieno il mistero.

Maria di Nazaret è una donna storicamente situata nel mondo palestinese al tempo dell’occupazione romana. I Vangeli ricordano la sua casa, i suoi parenti, il suo matrimonio con Giuseppe, la sua partecipazione alla vita religiosa del popolo d’Israele (Lc 1-2; Mt 1,16; Mc 6,2-3). Non estranea al mondo, ella visse sulla terra «una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro», secondo l’affermazione del decreto conciliare sull’apostolato dei laici (AA 4).

Tuttavia, i Vangeli non riferiscono nulla sul periodo della vita di Maria precedente al mistero dell’Annunciazione. Da essi non sappiamo il nome dei suoi genitori. Eppure Maria, come ognuno di noi, ha un padre e una madre che l’hanno generata alla vita, l’hanno educata e preparata a corrispondere al disegno di Dio1.

Gli Apocrifi del Nuovo Testamento hanno tentato in qualche modo di colmare questo spazio di silenzio2. Seguendo i loro racconti veniamo a conoscere che i genitori di Maria si chiamano Gioacchino e Anna. Si tratta di due sposi attempati e osservanti che hanno vissuto lungamente il dramma del non avere figli. Una volta però avuto da Dio il dono di una figlia, senza indugio decidono di offrirla a lui.

Nel Protovangelo di Giacomo si racconta che, dopo la presentazione di Maria al tempio all’età di tre anni, rimanendovi fino ai dodici anni, «i suoi genitori ritornarono pieni di stupore, lodando e glorificando il Signore Iddio perché la bambina non si era voltata indietro, verso di loro. Ora Maria dimorava nel tempio del Signore nutrita come una colomba e il cibo lo riceveva dalla mano di un angelo»3.

Lo Pseudo Matteo invece si diffonde nel descrivere lo svolgersi della giornata di Maria, soffermandosi in particolare sulla sua fedeltà alla preghiera, sull’assidua meditazione della Legge, sull’amore per i poveri e i malati, sui lavori manuali, specie di tessitura, ai quali era solita dedicarsi.

Questa tradizione apocrifa, che vede Maria nel segno del privilegio e del prodigio, s’intreccia durante il Medio Evo con le testimonianze iconografiche, che la raffigurano nel segno di una vita normale. Infatti tanta iconografia lungo i secoli insiste sulla presenza attiva di Anna e sull’attitudine filiale di Maria verso di lei4. Anna viene rappresentata mentre istruisce la figlia e la guida alla lettura delle Scritture, mentre Maria l’ascolta, lasciandosi introdurre dalla madre nella tradizione del suo popolo. Addirittura Anna viene raffigurata come una nonna orgogliosa e tenera, quasi in posa insieme alla figlia e al piccolo Gesù. Si pensi al Masaccio (1401-1428) che ritrae Anna con la mano sollevata sul capo del Bambino tenuto in braccio da Maria seduta in trono.

In realtà, non sappiamo come Maria abbia vissuto la sua condizione filiale. Una cosa però è certa: la statura umana di Maria proposta dai Vangeli può suggerire una crescita piena, armoniosa, di cui Maria è debitrice - come ognuno di noi - ai suoi genitori.

Ma il titolo di «figlia» riferito a Maria non può essere legato al solo rapporto parentale. Esso va pure letto in prospettiva storico-salvifica, che l’ha applicato allo stesso Israele, al popolo eletto, al «resto d’Israele» fedele all’alleanza, personificato dalla figura femminile di una vergine: la «Figlia di Sion».

Il titolo «figlia di Sion» manifesta le profonde radici anticotestamentarie della Madre del Signore, la sua intensa solidarietà con il popolo d’Israele. Al pari dei suoi connazionali, Maria si colloca all’interno della storia del suo popolo, una storia d’elezione e perciò di salvezza, una storia tuttavia di peccato, di risposta mancata al disegno di Dio. In quanto figlia del suo popolo, ella ne condivide le attese e le speranze e si inserisce in quella catena femminile che vede presenti e protagoniste le donne nella storia d’Israele: Maria, sorella di Mosè; Anna, madre di Samuele; Giuditta, Debora... In continuità con le donne del passato e alla loro stessa maniera, ella sa discernere il manifestarsi di Dio, sa accogliere e cantare la sua salvezza.

L’immagine della figlia di Sion da cui Dio, secondo la promessa, avrebbe fatto nascere il Messia (cf Ger 6,2; Mi 1,13; 8,8. 10.13; Zac 9,9; Mt 21,5) si addice perfettamente a Maria. Il Concilio ha fatto ricorso a tale titolo nella più solenne delle sue costituzioni, la Lumen gentium: «Con lei, eccelsa figlia di Sion, dopo una lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia» (LG 55). In Maria giunge al suo culmine la santità dell’antico Israele: è la santa figlia di Sion che prolunga nella Chiesa la sua missione esemplare. Maria inoltre congiunge la sua supplica al gemito dei Patriarchi imploranti la venuta del Messia: è l’orante figlia di Sion in attesa del Messia. Maria è ancora la vergine intatta e la madre generosa chiamata a cooperare al disegno salvifico di Dio: è la sposa figlia di Sion che presenta il Messia al Tempio.

Maria dunque personifica la figlia di Sion di cui hanno parlato i profeti. Tale titolo fa di lei il punto dove si concentra il «sì» dell’umanità e il frutto più maturo della storia salvifica. Non a caso il «rallegrati» di Gabriele rivolto a Maria tradisce l’eco degli annunci profetici di salvezza indirizzati alla figlia di Sion (cf Sof 3,14-15; Gl 2,21-27; Zc 2,14; 9,9). E questo annuncio di gioia messianica è diretto ora a Maria, nella cui figura storica trova compiutezza l’immagine simbolica della figlia di Sion, della vergine Israele5.

2. Maria «figlia prediletta del Padre»

La vocazione del cristiano è di diventare e di vivere da figlio di Dio. Questo significa che non siamo all’origine di noi stessi, ma siamo «originati», «generati», e quindi siamo chiamati ad accettare di vivere sentimenti di dipendenza, di gratitudine, di obbedienza. Essere figlio non è altro che la risposta gioiosa e piena di amore a un Amore che ci precede. Dentro questa prospettiva di grazia, essere cristiano significa allora accogliere un dono, secondo il dettato evangelico: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). La grazia infatti mentre ci fa sentire amati, ci rende capaci di amare.

Maria per prima vive quest’esperienza filiale, abbandonandosi nella fede all’amore del Padre6. Ella accoglie con serenità la sua povertà/piccolezza. Anzi, scopre proprio nel suo essere «povera» il motivo della predilezione del Padre e risponde a tale amore gratuito con sentimenti di lode e di gratitudine cantati nel Magnificat. La certezza che Dio Padre l’aveva pensata con amore dall’eternità e che aveva scritto il suo nome sul palmo delle sue mani (cf Is 49,16) suscita in lei quella fiducia/abbandono filiale che le consente di rispondere «sì» all’annuncio angelico.

Proprio in quanto pienamente «figlia», piena di fiducia e di confidenza nel progetto di Dio, Maria ha meritato di diventare Madre. Il Concilio precisa con l’aggettivo «prediletta» la qualifica di Maria come «figlia» del Padre, e lo fa nel contesto della sua elezione eterna alla divina maternità: Maria è «insignita del sommo ufficio e dignità di Madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo» (LG 53). Assunta a «Genitrice del Figlio di Dio» equivale pertanto all’essere assunta a una comunione unica con Cristo, che prende da lei la sua umanità. «Perciò è la figlia prediletta del Padre»: chi infatti accoglie il Figlio, da lui riceve il potere di diventare «figlio di Dio» (Gv 1,13).

E il primo dono che il Figlio comunica alla Madre - dono iniziato come anticipazione nell’Immacolata Concezione e compiuto interamente al momento dell’Incarnazione - è quello di renderla «figlia» di Dio, la prima fra tutti, la pre-amata, la pre-diletta. Predestinando Maria di Nazaret quale sua «figlia prediletta», Dio prepara l’evento della pienezza dei tempi, ovvero l’Incarnazione, nel quale chiama ogni essere umano a divenire figlio «nel Figlio nato da donna» (Gal 4,4).

Sul volto di Maria, figlia prediletta del Padre, si scorge dunque il riflesso del misterioso volto del Padre, colui che da sempre gratuitamente ha iniziato ad amare, colui che è al principio e al compimento di ogni vero amore gratuito e fecondo nel tempo. L’infinita tenerezza di Dio-Amore si rivela nei lineamenti della Madre di Gesù.

Nella giovane donna di Nazaret, figlia prediletta del Padre, oltre all’immagine rivelante di Dio, si riscontra l’alta dignità della creatura umana, chiamata a rispondere nella libertà della fede all’appello divino. Maria quale donna libera e responsabile nel rispondere prontamente al momento dell’annunciazione, rivela la vocazione ultima della persona umana: la comunione dialogante e amante con Dio Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito.

Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente al n. 54 usa l’espressione «figlia prescelta del Padre» (TMA 54), un appellativo poco presente nel suo insegnamento. Istintivamente, ogni conoscitore del magistero ecclesiale farebbe riferimento piuttosto alla dicitura «figlia prediletta del Padre», assunta dalla Lumen gentium, su cui sopra ci siamo soffermati. L’aggettivo «prescelta», anche nel magistero di Giovanni Paolo II viene ordinariamente rapportato alla maternità divina. Tale attributo congiunto con «figlia» («figlia prescelta») è interpretato dal Papa alla luce della Lettera agli Efesini e applicato alla figura di Maria.

Nell’ottica del pensiero paolino il Papa nella Redemptoris Mater così scrive: «Se la scelta eterna in Cristo e la destinazione alla dignità di figli adottivi riguardano tutti gli uomini, l’elezione di Maria è del tutto eccezionale ed unica. Di qui anche la singolarità e unicità del suo posto nel mistero di Cristo» (RM 9).

In Maria, la prima della comunità ecclesiale sulla quale si sono riversate con straordinaria abbondanza tante benedizioni, il progetto del Padre si realizza in pienezza: ella è la pura lode della grazia di Dio. Con le labbra e con la sua vita «santa e immacolata», Maria «benedice» e «glorifica» il Padre che l’ha benedetta e attua la vocazione di tutta la Chiesa a divenire sposa senza macchia e senza ruga del suo Signore (cf Ef 5,27), a lode e gloria dell’amore del Padre7.

 

3. Maria «sorella nostra»

Il titolo «sorella nostra» applicato a Maria è antico, se pure non frequente. Nei primi secoli esprimeva soprattutto venerazione. Oggi configura la Vergine di Nazaret in una prospettiva più esistenziale ed esperienziale. Figlia di Adamo come noi, appartenente alla stirpe di Abramo, padre della fede, Maria è sorella a tutti gli uomini e agli ebrei. Ella non è infatti «fuori» dalle nostre situazioni, ma da esse interamente avvolta. È sorella nostra per vincoli di natura e di grazia: la sua fede è la nostra fede, la sua speranza è la nostra speranza, il suo servizio al Signore è quello cui ognuno di noi è chiamato a esercitare.

Tale titolo oggi, tornato all’attenzione degli studiosi8, focalizza un’immagine emergente di Maria che la àncora alle donne e agli uomini del nostro tempo, partecipe come creatura e come discepola delle vicende liete e tristi del popolo peregrinante. In quanto sorella, Maria si è fatta vicina ai suoi: a Giuseppe, a Elisabetta, a Gesù; e si è fatta compagna di tutti noi. Eletta da Dio per essere madre del Verbo incarnato, è sì una donna d’Israele, ma anche una sorella del popolo redento da Cristo suo Figlio. Di conseguenza, il vincolo di sororità che la lega alla stirpe di Adamo e la rende solidale con ogni persona, si approfondisce con la sua condizione discepolare nei riguardi di Gesù unico Maestro.

La Vergine è dunque nostra sorella. I teologi ne elencano le ragioni con ordinata successione:

¨       È creatura, parte del cosmo, ha la stessa origine, tende alla stessa meta delle altre creature.

¨       È vera figlia di Adamo privilegiata: condivide quindi con noi la natura umana, sottomessa all’esperienza del dolore e al mistero della morte, ma protesa verso la pienezza della vita, della verità, dell’amore.

¨      È figlia di Abramo: appartiene pertanto alla discendenza del popolo eletto e con noi riconosce in Abramo il «nostro padre nella fede». È il più eccelso frutto della redenzione (SC 103): come noi, quindi, è stata redenta da Cristo, anche se «in modo sublime» (LG 53) e diverso.

¨      È membro sovreminente della Chiesa (LG 53): con noi e come noi vive nello spazio comunionale creato dallo Spirito.

Nel nostro tempo il titolo mariano di «sorella» compare con una certa frequenza nella letteratura della vita consacrata. Esso dice vicinanza e comunione di esperienze di vita. Le persone consacrate sentono Maria vicina nel loro cammino di fede, nelle modalità esistenziali della sequela di Cristo, nella determinazione a vivere in modo stabile il comandamento dell’amore fraterno. In Maria sorella scoprono la creatura in cui tutto è opera della grazia; l’umile serva in cui si manifesta in modo eminente lo stile di Dio, che sceglie gli ultimi e si rivela ai piccoli (cf Mt 11,25); l’icona perfetta del discepolo che accoglie la Parola, è aperto allo Spirito che lo anima con una fede piena di stupore, di riconoscenza, di gioia.

Una particolare accentuazione della figura di Maria come sorella è riscontrabile nell’Ordine del Carmelo, a partire dal secolo XIV. Ciò ha costituito motivo di rinnovato impegno e di rapporto sempre più familiare con la Madre di Gesù. Per i Carmelitani ricuperare questa figura di sorella con «impulso creativo», al dire della Marialis cultus (n. 25), vuol dire riconsiderare Maria come pellegrina nella fede, serva del Signore che sa giudicare la storia, donna che si lascia trasformare fin nelle viscere dalla fecondità dello Spirito, donna forte nella prova, premurosa con tutti, madre-discepola riplasmata dal Figlio che aveva generato9.

Il titolo «sorella nostra» è stato particolarmente caro a Paolo VI. Si trova solo nei suoi scritti appartenenti ai quindici anni di pontificato (1963-1978). Esso appare per ben cinque volte nel 1968, l’anno in cui Paolo VI compie lo sforzo maggiore di applicazione dei decreti conciliari. Si rivolge soprattutto al popolo di Dio. L’affermazione più autorevole e chiara è «vera sorella nostra» inserita nella Marialis cultus del 1974. La più solenne è quella del 1975, nel decimo anniversario della chiusura del Concilio. L’ultima volta viene usata nell’omelia dell’Assunta del 1976. Lo sguardo del Papa ancora una volta passa da noi naufraghi del male, a lei piena di grazia. Da lei «creatura che porta in sé lo Spirito Santo», a noi «esseri minimi, microscopici». Tra Dio e noi c’è lei, sorella e madre, umile e potente, grande presso Dio, ma vicina a noi.

Per Paolo VI più che un titolo l’espressione «sorella nostra» indica una realtà che pone Maria direttamente in relazione con noi. Realtà che esprime e presenta la persona umana di Maria, il suo essere donna inserita in una comunità di uomini e donne, solidale con ogni fratello e ogni sorella con cui condivide gioie, speranze, paure, difficoltà. È una sorella unica, eccezionale, ma sempre sorella vera.

Riascoltando le parole con cui Paolo VI presenta Maria «sorella nostra» e la prega, appare con chiarezza il suo desiderio di aiutare la Chiesa a cogliere il messaggio di fraternità che il concetto di sorella richiama, e come questa fraternità vada vissuta e proclamata nelle vicende del nostro tempo. Per Paolo VI Maria «sorella nostra» è lì per aiutare i fratelli e i fratelli sono invitati a riconoscere e a farla conoscere.

Conclusione

Al termine del nostro itinerario ci sembra utile fare due osservazioni.

1.      Il titolo «figlia» rende Maria agli occhi del singolo credente un modello familiare e imitabile, più di quanto non faccia la sua maternità, la quale è, sì, dono preziosissimo, ma assolutamente unico. Come «figlia prediletta e prescelta» del Padre, Maria restituisce alla persona umana la sua vera identità di figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, e ricreato suo figlio adottivo in Cristo. Non solo. Maria restituisce alla persona anche la sua identità di fratello tra i fratelli, figli tutti di un solo Padre, impegnati dunque a rivendicare a nome di Dio i diritti di uguaglianza, di giustizia, di libertà.

2.      In Maria «nostra sorella» si svela un volto nuovo e diverso da quelli tradizionali, un volto finora poco delineato, quello dell’umile creatura di fede e di amore che cammina accanto a ciascuno per educarlo al Vangelo. Lo sguardo a Maria nostra sorella diviene appello a vivere la fraternità infranta oggi da molteplici cause. È motivo di onore, di gioia e di speranza vivere con lei e come lei il precetto dell’amore del prossimo e tradurlo in amore fraterno.

Sia il titolo che il modello etico-esistenziale insiti nell’attributo sorella, particolarmente graditi anche ai non cattolici, specie ai protestanti10, possono aiutare il credente a entrare in una nuova prospettiva, quella ecumenica. E questo è un compito ineludibile per la Chiesa che ama dirsi «cattolica».

Ognuno perciò può vedere in Maria sia la «figlia prediletta e prescelta del Padre», e cioè colei che lo aiuta a sentirsi e essere figlio di Dio per opera di Gesù Cristo (cf Ef 1,5); sia la «sorella maggiore» che lo guida nel pellegrinaggio della fede fino a raggiungere la «piena maturità di Cristo» (Ef 4,13).

 

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