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n. 1 del 2002

 

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Maria di Nazaret
donna e madre della speranza

di Maria Marcellina Pedico
 

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È proprio vero che dall’11 settembre 2001 «nulla è più come prima»? Ritengo questa frase una provocazione. Perché?

Certo, l’equilibrio nel mondo è completamente sconvolto e le conseguenze sul piano economico, politico e religioso sono innegabili. Tuttavia, una risposta più profonda, più fondamentale emerge dalla nostra fede in Cristo.

Ricordo a questo proposito un incontro di preghiera svoltosi durante l’Anno mariano del 1987 nel tempo di Pasqua. Le fraternità servitane di Roma erano state convocate presso la curia generalizia delle Mantellate Serve di Maria all’Eur, per celebrare insieme il Regina coeli, e così sperimentare il rinnovato pio esercizio redatto dalla Commissione Liturgica Internazionale dell’Ordine dei Servi di Maria. La parte centrale del formulario offriva agli oranti una coinvolgente sequenza-dialogo tra la Vergine Maria, le Figlie di Gerusalemme e il Coro, il cui filo conduttore procedeva seguendo la fede di Maria nel mistero di Cristo risorto.1

Quando sento pronunciare la frase «nulla è più come prima», mi fiorisce in cuore soprattutto il canto gioioso del Coro di quel lontano giorno: «Alleluia! Nulla è più come prima!». Sì! Solo Cristo risorto segna per il credente il prima e il dopo del tempo. Solo su Cristo risorto si fonda la certezza della nostra speranza e della nostra totale liberazione. Solo dall’avvenimento della Pasqua «nulla è più come prima», perché anche se il male trova virulenti espressioni criminali contro Dio e contro la vita, la potenza salvifica del redentore ha segnato per sempre la storia del mondo. 

Gesù è realmente la nostra speranza, esclama Paolo (1Tm 1,1). Solo la risurrezione di Cristo, vittoria definitiva della vita sulla morte, del bene sul male, dilata il cuore per una speranza vera che dà significato nuovo a tutta l’esistenza. Lì si radica l’ottimismo cristiano. Lì soltanto è possibile trovare una risposta ai drammatici interrogativi che la presenza dilagante del male, nel mondo di oggi come in quello di ieri, pone alla coscienza di ogni persona. Lì trova significato la Chiesa quale comunità di speranza. Il credente può far sua l’espressione che la sequenza Victimae paschali laudes pone sulla bocca di Maria Maddalena: «È risorto Cristo, mia speranza». Gesù risorto è veramente il «Principio-Speranza» della Chiesa e del mondo intero.2

Nell’ampia visione teologica, dove Cristo è sole di giustizia (cf Ml 3,20) e nostra speranza (cf 1Tm 1,1), trova giusta collocazione l’argomento su cui ora vogliamo riflettere.

Discorrere sui molteplici aspetti del rapporto «Maria e la speranza» rimane arduo.3 Qui vogliamo privilegiare quello che i cultori di mariologia indicano con l’espressione: «La Vergine fondamento di speranza». Il noto liturgista Ignazio Calabuig precisa al riguardo che in esso s’intrecciano due elementi collegati tra loro: la «realtà di grazia» e la «missione» che Maria esercita in favore del popolo di Dio. Questi due fattori costituiscono una garanzia nel conseguire la meta ultima della nostra speranza4. Dopo Cristo, a causa di lui e con lui, l’essere di Maria, posto sotto il segno dell’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, è motivo e «segno di sicura speranza» (LG 68) per tutta la comunità ecclesiale nel suo cammino verso l’eschaton.

Maria di Nazaret aurora e motivo di speranza

La riflessione e l’esperienza cristiana hanno interpretato la Concezione immacolata di Maria e la sua Natività in chiave di «aurora della speranza». Il primo dato che gli studiosi offrono al riguardo è che Maria di Nazaret, avendo preceduto secondo il sapiente disegno di Dio la venuta di Cristo, giustamente viene salutata dal popolo cristiano aurora del giorno di Cristo (cf 2Pt 1,19), stella del mattino che annuncia il vero sole di giustizia (cf Ml 3,20), alba radiosa della speranza piena. Essi tuttavia precisano che nulla si può affermare di Maria quale aurora, o stella del mattino, oppure alba soffusa di speranza, se non in dipendenza e in relazione con la persona divina di Cristo e con la sua missione di Agnello redentore.

 

La Concezione immacolata di Maria aurora della speranza

La Concezione immacolata di Maria, anticipazione e primizia dell’efficacia salvifica della Pasqua, è vista dalla tradizione ecclesiale come la prima espressione di libertà dalle catene del peccato, di vittoria su satana oppressore del genere umano, motivo quindi di speranza per una umanità che era immersa «nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1,79).

Creatura privilegiata, ma sorella nostra, del tutto esente dalla macchia originale, Maria immacolata accende la speranza del popolo di Dio in cammino verso una condizione in cui tutto sarà «senza macchia né ruga o alcunché di simile» (Ef 5,27). Pio X nell’enciclica Ad diem illum (11 febbraio 1904) sintetizza bene l’esperienza della Chiesa quando afferma che la contemplazione dell’Immacolata rafforza la fede e rianima la speranza.5 Oppure quando stabilisce una connessione tra la Concezione immacolata, la Maternità divina e la nostra speranza: Maria fu immacolata in vista di essere Madre di Cristo, fu tale perché nel suo Figlio rivivesse in noi la speranza dei beni eterni, cioè dei beni futuri, definitivi, di cui Gesù è sommo sacerdote (cf Eb 9,11), beni non soggetti né a perdita né a caducità.

Per la liturgia, la solennità dell’8 dicembre è una festa di speranza. Nell’Inno Praeclára custos virginum dei I Vespri la Vergine viene salutata come «speranza nostra».6 L’ignoto autore (sec. XVII) non fa altro che testimoniare un’antica esperienza ecclesiale, molto diffusa in Occidente a motivo della popolare antifona Salve, Regina, mater miseriordiae, in cui figura, densa e apportatrice di sollievo, l’espressione «vita, dolcezza e speranza nostra».

Per il credente contemplare l’Immacolata significa cogliere nella Vergine la donna orientata verso l’alto, non curva sotto il peso del peccato; aperta all’amore di Dio, degli uomini, della creazione, non ripiegata su se stessa; la figlia prediletta del Padre (cf LG 53), che reca fin dal principio della sua esistenza «il sigillo di Dio sulla fronte» (Ap 9,4), non una schiava segnata dal marchio del nemico del genere umano.7

In Maria immacolata, donna storica dal cuore indiviso e opposto alla discordia, si è resa viva e concreta la speranza dell’umanità che cerca un futuro di pace e di giustizia, di armonia e di fraternità.  Il concepimento immacolato di Maria non esime la Vergine, pur colmata di grazia (cf Lc 1,28), dalla sua condizione terrena con tutto ciò che essa comporta di sofferenza e di opacità, di scelte libere e creative. Come discepola del Figlio, anche Maria crebbe nella fede, progredì nella speranza messa a dura prova, orientò il suo amore verginale verso Dio e verso Giuseppe, verso il Figlio Gesù e verso la comunità ecclesiale, verso gli uomini e le donne incontrate sul cammino della vita.

In Maria immacolata risplende la forma vera e pura della bellezza senza menzogna né turbamento; bellezza come splendore della verità e riverbero della bontà; bellezza quale perfezione e armonia, semplicità e trasparenza. 

 

La Natività di Maria annuncio di speranza

L’8 settembre di ogni anno la Chiesa celebra la Natività di Maria come evento salvifico che annuncia e prepara la nascita imminente del Messia Salvatore. Luce, gioia, speranza, inizio della salvezza sono i temi caratteristici della festività.

Giovanni Damasceno († 749) nella celebre Omelia sulla Natività di Maria8 pronunciata a Gerusalemme nella chiesa di Santa Maria, eretta accanto alla piscina probatica, proclama che Maria è la «speranza dei cristiani». Rivolto alla Vergine il Damasceno dice: «Tu onore dei sacerdoti, speranza dei cristiani, pianta feconda della verginità».

L’omileta si esprime al plurale: la Vergine è «speranza dei cristiani». L’espressione indica che soggetto della speranza sono tutti i fedeli: a tutti è stata infusa nel battesimo la virtù della speranza e tutti sono chiamati a coltivarla perché non si affievolisca o venga meno. Inoltre parla come chi, esperto del cuore umano, si è immedesimato nei sentimenti di tanti compagni di esilio; come chi, conoscitore del progetto salvifico di Dio, sa che il Signore ci ha donato santa Maria come guida sicura nel cammino verso la patria. Ecco perché in seguito si stabilirà un rapporto intenso e rasserenante tra la Vergine e ogni suo figlio. Ecco perché Maria verrà chiamata speranza dei peccatori, che gemono oppressi dal peso delle loro colpe; speranza dei disperati che camminano nel buio dello scoraggiamento; speranza degli afflitti, dei miserabili, dei bisognosi... immensa turba di uomini e donne che piangono la loro difficile situazione.9

Il Damasceno termina il suo panegirico con una ardente preghiera in cui chiama Maria «speranza di gioia»:

 «O figlia di Gioachino ed Anna e Regina, accogli la parola di un servo peccatore, ma che arde d’amore e ha in te la sola speranza di gioia».

 In questo testo, soggetto della speranza è lo stesso omileta che dinanzi alla Vergine si dichiara sì peccatore, ma ricolmo di fiducia. Egli ha trovato la sua speranza di gioia in Maria, dal cui cuore è sgorgato il Magnificat: canto di gioia e di speranza, canto non di superficiale sentimentalismo, ma di forte denuncia profetica.10

Nell’«Orazione dopo la comunione» dell’8 settembre – che è un invito alla gioia – la liturgia prega:

«Esulti la tua Chiesa, Signore,
      rinnovata da questi santi misteri,
      nel ricordo della Natività di Maria Vergine,
       speranza e aurora di salvezza al mondo intero».

La Chiesa esulta per la Nascita di Maria perché scorge in lei l’aurora che annuncia, prelude e garantisce il sorgere del Sole; perché vede in lei già presenti i «cieli nuovi e la terra nuova» (2Pt 3,13), che i cuori dei credenti aspettano e dei quali nell’eucaristia hanno pregustato la gioia senza fine.

I termini «speranza» e «aurora» non implicano già il pieno possesso, ma sottolineano la tendenza alla pienezza e al possesso. Con la nascita di Cristo la luce dell’aurora diverrà luce piena del giorno, godimento pieno del bene sperato.

 

Maria di Nazaret madre della speranza

 La Vergine dunque è aurora e motivo di speranza. La tradizione cristiana l’invoca spesso con il titolo «Santa Maria della speranza». Esso trae origine dall’atteggiamento di Maria in due eventi salvifici, che la vedono protagonista: il primo, l’attesa del parto, quando lei, gravida del Verbo, sta per dare alla luce Cristo, speranza dell’umanità; il secondo, l’attesa di un nuovo parto, quando lei, piena di fede e di speranza, attende che il Figlio deposto nella tomba risorga a  vita nuova e immortale.

Ma cosa dire di altre espressioni, quali: «madre della speranza», «madre della santa speranza», «madre della speranza dei fedeli»? Incontriamo spesso queste invocazioni negli inni, nelle litanie, nei responsori senza alcuna specificazione. È compito degli omileti, dei teologi, degli autori spirituali interpretare tali titoli nel loro vero significato. Essi implicano, tutti, una relazione, per così dire, materno-filiale tra la Vergine e la speranza, relazione intesa a volte in senso strettamente cristologico, altre volte in senso etico.

 

Maria madre del Dio con noi sorgente di speranza

Tra le testimonianze in cui il titolo Mater spei viene inteso in prospettiva cristologica, si distingue l’inno Iubilus aureus beatae Mariae Virginis di autore ignoto e risalente al secolo XIII-XIV. Delle 100 strofe dell’inno, l’ufficio di lettura per la memoria della Presentazione di Maria (21 novembre) propone tre strofe,11 di cui a noi interessa la prima. Ecco il testo:

«Salve mater misericordiae,
       mater spei
et mater veniae,
       mater Dei et mater gratiae,
       mater plena sanctae laetitiae».
                            
        (O Maria)

 L’autore fin dall’inizio del carme sembra orientato a salutare la Vergine esplicitando la più alta missione e la massima gloria di Maria: essere la «Madre di Dio». Il termine «madre» infatti ricorre sei volte nella strofa, cinque volte riguarda la qualifica della sua maternità: è madre misericordiae, spei, veniae, Dei gratiae; la sesta volta è accompagnato dall’attributo plena. La Vergine non figura con il suo nome «Maria». Di certo non ve ne era bisogno, poiché dal tempo di sant’Oddone di Cluny († 942), la madre di Gesù era indicata con l’espressione «madre di misericordia». Neppure il nome «Gesù» compare nella strofa: il Salvatore viene presentato con il termine Deus e con i sostantivi sopra evocati. Gesù è la «misericordia» incarnata, la «speranza della gloria» (Col 1,27), il «perdono» divino elargito agli uomini (cf 1Cor 1,30),  la «grazia» che dimora in lui con assoluta pienezza (cf Gv 1,18; Col 2,9).

Considerando l’espressione «madre della speranza» sappiamo che essa trae origine dal Siracide:

«Io sono la madre del bell’amore,
      del timore, della conoscenza e della santa speranza.
       In me vi è ogni grazia di vita e di verità,
       in me ogni speranza di vita e di forza» (Sir 24,24-25).

I critici hanno considerato questi versetti, che non figurano nell’originale ebraico, una aggiunta (glossa) cristiana. In ogni caso sono presenti nella Volgata, la versione biblica di cui si sono nutrite per secoli la pietà, l’omiletica e la teologia della Chiesa di Occidente. Di fatto la Chiesa ha visto nel passo del Siracide 24,24 un’affermazione che esprime con efficacia un tratto della fisionomia spirituale di Maria: madre del puro amore, della pietà, della scienza, della fede, della santa speranza. Non v’è dubbio che l’uso del cap. 24 del Siracide come testo biblico delle messe della Vergine ha fortemente contribuito a stabilire tra Maria e la speranza una relazione di tipo materno-filiale.

Gli studiosi intendono la maternità a cui si riferisce la prima strofa dell’inno Iubilus in senso strettamente cristologico. In sintesi possiamo dire come procede la loro argomentazione: dal momento che Maria è madre di Cristo-Dio «nostra speranza», «speranza della gloria», al dire dell’Apostolo, ne consegue che ella è la «madre della nostra speranza». La maternità di Maria viene considerata in relazione ai titoli di Cristo. Cristo è vita, luce, misericordia, consolazione; Maria è, di conseguenza, madre della vita, della luce, della misericordia, della consolazione. L’appellativo biblico «Madre di Gesù» diviene «Madre della speranza». Proprio perché è Madre di «Gesù-speranza nostra», la Vergine, per la sua partecipazione all’essere e alla missione di suo Figlio, è invocata semplicemente come «nostra speranza». Si tratta di un procedimento che si spiega e si giustifica solo a partire dalla maternità divina. Processo legittimo nella misura in cui, dietro l’invocazione rivolta alla Vergine, si percepisce chiaramente il fatto reale e d’immenso valore della maternità divina e salvifica di Maria.

In ogni caso una cosa è certa: l’orante, che si rivolge alla Vergine e contempla il mistero della maternità divina, sa che alla luce della riflessione teologica e dell’esperienza cultuale, Maria è la madre di Cristo «misericordia», di Cristo nostra «riconciliazione, di Cristo nostra «speranza» e nostra «grazia». Egli avverte che il suo cuore, raggiunto dalla misericordia, è riconciliato con Dio, risollevato dalla speranza, toccato dalla grazia, percorso da tranquilla letizia. In questa esperienza il credente di oggi e l’ignoto autore del secolo XIII-XIV si trovano a distanza ravvicinata.

La maternità di Maria genera la speranza

Ma vi è un secondo modo d’intendere l’espressione Mater spei. Maria è «madre della speranza», si afferma, perché con la sua intercessione e il suo esempio genera nel nostro animo la virtù della speranza. In piena epoca illuministica sant’Alfonso de’ Liguori († 1787), commentando ne Le glorie di Maria l’espressione «spes nostra salve» della Salve Regina, scrive:

«Con ragione [...] la santa Chiesa applica a Maria le parole dell’Ecclesiastico con cui la chiama Madre della speranza, la madre che fa nascere in noi non già la speranza vana de’ beni miserabili e transitori di questa vita, ma la speranza santa de’ beni immensi ed eterni della vita beata».12

L’esempio e l’intercessione della Vergine generano nell’animo del credente la virtù della speranza. Ciò suppone che Maria da una parte sia vista come singolare esempio di speranza, e dall’altra come una interceditrice che tocca il cuore di suo Figlio e il cuore di tutti gli altri suoi figli.

Due testi eucologici del formulario «Beata Vergine Maria madre della speranza» del Messale mariano,13 possono illuminarci circa questo secondo modo di intendere l’espressione Mater spei. La colletta così prega:

O Dio, che ci hai dato la gioia di venerare
      la Vergine Maria, madre della santa speranza,
      concedi a noi, con il suo aiuto,
     di elevare fino alle realtà celesti gli orizzonti della speranza,
     perché impegnandoci all’edificazione della città terrena,
     possiamo giungere alla gioia perfetta,
     meta del nostro pellegrinaggio della fede.

Secondo i liturgisti, l’espressione «madre della santa speranza» presente nel testo va interpretata in senso morale-esemplare, in riferimento alla virtù della speranza. Infatti, l’espressione «santa speranza», per la presenza dell’aggettivo «santa», è letta di solito in rapporto alla seconda virtù teologale. Maria «donna della speranza», per l’azione svolta in favore del genere umano e per il valore esemplare della sua testimonianza, genera la speranza nel cuore dei redenti: è perciò la «madre della speranza».

Nell’orazione dopo la comunione così si prega:

I sacramenti della fede e della salvezza che abbiamo ricevuto,
      nel ricordo di Maria, madre della speranza,
      ci sostengano, o Padre, fra le prove della vita
      e ci rendano partecipi, insieme con lei,
     del tuo eterno amore.

Per la menzione esplicita nell’orazione delle tre virtù teologali, l’orante, di fronte all’espressione «madre della speranza», orienta spontaneamente il suo pensiero verso la virtù della speranza. Donna di speranza teologale, Maria «ebbe fede e speranza come Abramo, e più di Abramo, perché seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio, sperando contro ogni speranza» (TMA 48).

Quasi a commento dei due modi d’intendere l’espressione Mater spei sopra descritti, il card. Anastasio Ballestrero, scriveva qualche anno fa ai suoi fedeli di Torino: «Contemplare questa madre della beata speranza può diventare per noi un cammino che rende tante nostre strade meno aspre, meno impervie, meno disperate. C’è la luce del suo cuore di madre e c’è anche la fermezza della sua speranza di credente che può e deve diventare viatico per la nostra vita».14

In conclusione

«All’uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l’angoscia e la speranza, turbato nell’animo e diviso nel cuore [...] la beata Vegine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella Città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte» (MC 57).

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Modificato domenica 16 marzo 2014
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