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Da
un po’ di tempo si posano sulle nostre scrivanie lettere dalla provenienza
estera: Europa, Asia, Africa, America Latina. Esprimono gratitudine per quanto
è scritto sulla rivista, per i temi che propone alla riflessione, per la
competenza dei collaboratori. A volte esprimono, velatamente, e con tanta
sincerità e umiltà, quell’impegno gioioso con cui le autrici-suore compiono
la missione in terre di povertà estrema, ma dove la solidarietà è viva e
concreta.
Alcune
si chiedono con preoccupazione: dove va la vita religiosa? dove vanno i nostri
Istituti? Come possiamo vivere questo nostro tempo così gravido di avvenimenti?
Stralciamo:
«Mandandovi
questi auguri dall’Africa, volevo dirvi GRAZIE per i contenuti di
Consacrazione e Servizio, che mi auguro sia letto con interesse profondo dalle
Congregazioni religiose in Italia… non so se mi sbaglio, mi pare contenga
profonde
riflessioni
su ciò che è il Rinnovamento della Vita Religiosa a volte così stantia e
radicata al “glorioso” ma anche “penoso” passato».
La
scrivente - le maiuscole e le virgolette sono sue - passa poi a enumerare
articoli e autori della rivista, sui quali sarebbe opportuno fissare
l’attenzione per un rinnovamento senza sconti.
Siamo
tutte consapevoli che in questo momento storico non ci si può accontentare di
piccoli ritocchi. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà,
prendere in mano le situazioni, andare a fondo delle problematiche e risolverle
e rilanciare. Come?
Ancora
una volta ci permettiamo alcune proposte su vie che si possono seguire:
ü
Innanzitutto profonda vera preghiera;
profonda autentica interiorità, che si concretizza poi nelle scelte di vita.
E’ una interiorità che ha bisogno di spazi credibili di solitudine.
All’inizio della Quaresima, nel brano di Vangelo riportato, è scritto che Gesù
«fu condotto dallo Spirito nel deserto». Il linguaggio di Marco è ancora più
iconico: «lo Spirito lo spinse nel deserto». Paolo, un uomo che all’inizio,
subito dopo la cristofania personale, non trasudava certamente perfezione, prese
anch’egli in considerazione la necessità urgente di riflettere con calma su
quanto gli era successo sulla via di Damasco. E si ritirò per tre anni nel
deserto, impegnato, scrive un autore recente, a «fare nulla». Senza quella
esperienza non sarebbe diventato quello che poi è stato. E i nostri Fondatori?
Sant’Ignazio visse un po’ di tempo in una grotta di Manresa, Spagna, sulle
rive del Cardoner. E non si resta senza un commosso stupore quando ci si ferma
su quelle piccole croci scavate nella pietra che alcuni biografi dicono siano
state scolpite dalle sue mani, durante le sue meditazioni… Don Alberione
scriveva in certa occasione ai suoi: «Mi è chiaro quello che ho visto in fondo
alla casa, in quella camera, in uno di quei giorni in cui io non lavoro». Nel
1926, con linguaggio molto in voga oggi, scriveva al gruppo, che era il primo a
lasciare il ceppo iniziale di Alba, giunto da poco a Roma: «perciò cercate
prima di essere, poi… ‘dapprima essere, poi operare’».
Verso la fine dei suoi giorni poteva scrivere: «Sono un miracolo di Dio!
“per grazia di Dio sono quello che sono”. Io sono immedesimato a Cristo: i
suoi interessi sono i miei; le sue intenzioni le mie; io parlo le sue parole; la
mia dottrina è la sua; la mia vita è quella di Cristo; io compio le opere di
Cristo: o meglio è Cristo che le compie per me…». E don Alberione non è
stato certo un uomo dallo spiritualismo senza senso o senza concretezza.
Prima
e appena dopo il Sinodo sulla vita consacrata celebrato nel 1994, quando vi
erano forti speranze di una ripresa, la maggior parte degli esperti puntava lì:
il rinnovamento parte da una spiritualità che incida su tutte le fibre
dell’essere e dell’operare. Sono questi spazi personali di silenzio e di
interiorità in cui si lascia piena libertà allo Spirito di agire, quelli che,
se autentici, conducono alla comprensione di sé e di quello che il Signore può
sognare per noi. Aiutano a capire cosa sia veramente l’essenziale.
ü
Creazione di comunità fraterne. Forse
il termine non è esatto. La creazione suppone il nulla preesistente. I nostri
Istituti sono formati da comunità che ne costituiscono le cellule fondamentali
da sempre. Ma è permesso domandarsi: queste nostre comunità sono fraterne? In
esse ci sono suore giovani e non più giovani che faticano parecchio, che
patiscono, che, a un certo punto, perché non ce la fanno più, se ne vanno.
Chiedono un trasferimento o addirittura il proscioglimento dagli impegni
iniziali. Non vogliamo entrare nella casistica. E non pronunciamo giudizi. Però
il fatto ci interpella fortemente. Qualcuno ci chiede: ma voi, cosa ne dite? Ci
sembra che sulla vita di fraternità abbiamo già scritto molto. Non sarà
sufficiente? Abbiamo scritto sulla valorizzazione delle risorse istituzionali e
le persone sono le vere ricchezze di un Istituto. Juan Edmundo Vecchi, dal 1996
Rettor Maggiore dei salesiani, deceduto il 23 gennaio u.s., sosteneva che le «comunità
devono essere il luogo di santificazione dei membri». Lo sono? Lo saranno
soltanto se sapranno costruirsi, davvero, sulla Parola, attorno a Gesù
Eucarestia; se sapranno dialogare con umiltà e verità; se sapranno gareggiare
nel servizio, vivere in giustizia. I grandi conflitti cui stiamo assistendo
hanno come radice il non amore alla verità, al perdono; la ricerca del
possesso, della vendetta, del primeggiare. Per questo il papa ha dichiarato
formalmente: «mai più guerre, mai più terrorismo», ma anche «pace e
giustizia, perdono e vita, amore». Non si tratta di narcotizzare, ignorare o
rimuovere, scansandoli, i conflitti; possono essere frutto di un sentire
diverso. Ma il diverso sentire arricchisce, se affrontato nella verità, nella
libertà di parola, nel rispetto, nell’accoglienza vera della diversità.
Fermarsi soltanto a puntare sulle negatività può diventare masochismo. E’
necessario entrare per la porta o la via stretta della fatica, ma che immette
sui risultati veri, perché duraturi. Le geremiadi alla lunga stancano e possono
soltanto dar vita a persone rassegnate, ma non serene; obbedienti, ma non
docili. Offrire insieme quel clima caldo, intenso, benevolo, che investe tutti
con l’onda bella della vita, perché “la vita è bella davvero”! Per cui
ognuno si sente a casa sua, responsabile e gentile.
ü
Attenzione autentica alla storia;
inserimento vero tra le donne e gli uomini del nostro tempo. Attenzione alle
problematiche; ma non solo a parole. Il che non significa esprimere sofferenza,
indignazione, disagio di fronte ad alcune immagini che lo schermo televisivo ci
butta davanti. Urge interrogarsi sullo stile e sui contenuti del proprio
annuncio. Sull’incidenza che esso può avere sui destinatari; sulle formule e
sulle nuove modalità, nuovi metodi e nuovi mezzi. Essere presenti nella storia
comporta anche mettere a confronto il proprio stile di vita con lo stile che
questa storia può esigere. Mettere in questione se stessi, prima di questionare
gli altri. Paolo VI, con quella forte carica di umanità che lo distingueva,
parlava della necessità di «camminare accanto all’uomo».
Giovanni
Paolo II lo scopriamo sempre più immerso in Dio e perciò così immerso nelle
problematiche, quasi innominabili in quanto sono gravi, tremende, assurde,
paradossali, dell’uomo. Perché sta bene fare i conti con il passato e con il
presente, ma bisogna, soprattutto, ragionare di futuro. Alla fine ciò che
conta, e rimane, non sono le astratte dichiarazioni di principio o le mosse a
effetto e neanche i successi tattici, ma i comportamenti concreti, le scelte
strategiche sulla linea del Vangelo e perciò del carisma che è il Vangelo
applicato al proprio Istituto. Insieme contribuire a far maturare e crescere una
comunità, un Istituto unito, forse riconciliato nella piena consapevolezza
delle comuni radici.
Avevamo
già scritto. Ora l’Osservatore Romano del 3 febbraio u.s. riporta le parole
del papa pronunciate il giorno precedente in San Pietro. Dopo aver ringraziato
per quello che sono e quello che fanno, egli invita consacrate e consacrati a
essere persone di “preghiera”, a offrire la “testimonianza della fraternità
e della comunione” e a vivere “un fattivo impegno per la giustizia”...
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