n. 3
marzo 2002

 

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di Biancarosa Magliano
 

Ancora una lettera

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Da un po’ di tempo si posano sulle nostre scrivanie lettere dalla provenienza estera: Europa, Asia, Africa, America Latina. Esprimono gratitudine per quanto è scritto sulla rivista, per i temi che propone alla riflessione, per la competenza dei collaboratori. A volte esprimono, velatamente, e con tanta sincerità e umiltà, quell’impegno gioioso con cui le autrici-suore compiono la missione in terre di povertà estrema, ma dove la solidarietà è viva e concreta.

Alcune si chiedono con preoccupazione: dove va la vita religiosa? dove vanno i nostri Istituti? Come possiamo vivere questo nostro tempo così gravido di avvenimenti?

Stralciamo:

«Mandandovi questi auguri dall’Africa, volevo dirvi GRAZIE per i contenuti di Consacrazione e Servizio, che mi auguro sia letto con interesse profondo dalle Congregazioni religiose in Italia… non so se mi sbaglio, mi pare contenga profonde

riflessioni su ciò che è il Rinnovamento della Vita Religiosa a volte così stantia e radicata al “glorioso” ma anche “penoso” passato».

La scrivente - le maiuscole e le virgolette sono sue - passa poi a enumerare articoli e autori della rivista, sui quali sarebbe opportuno fissare l’attenzione per un rinnovamento senza sconti.

Siamo tutte consapevoli che in questo momento storico non ci si può accontentare di piccoli ritocchi. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, prendere in mano le situazioni, andare a fondo delle problematiche e risolverle e rilanciare. Come?

Ancora una volta ci permettiamo alcune proposte su vie che si possono seguire:

ü      Innanzitutto profonda vera preghiera; profonda autentica interiorità, che si concretizza poi nelle scelte di vita. E’ una interiorità che ha bisogno di spazi credibili di solitudine. All’inizio della Quaresima, nel brano di Vangelo riportato, è scritto che Gesù «fu condotto dallo Spirito nel deserto». Il linguaggio di Marco è ancora più iconico: «lo Spirito lo spinse nel deserto». Paolo, un uomo che all’inizio, subito dopo la cristofania personale, non trasudava certamente perfezione, prese anch’egli in considerazione la necessità urgente di riflettere con calma su quanto gli era successo sulla via di Damasco. E si ritirò per tre anni nel deserto, impegnato, scrive un autore recente, a «fare nulla». Senza quella esperienza non sarebbe diventato quello che poi è stato. E i nostri Fondatori? Sant’Ignazio visse un po’ di tempo in una grotta di Manresa, Spagna, sulle rive del Cardoner. E non si resta senza un commosso stupore quando ci si ferma su quelle piccole croci scavate nella pietra che alcuni biografi dicono siano state scolpite dalle sue mani, durante le sue meditazioni… Don Alberione scriveva in certa occasione ai suoi: «Mi è chiaro quello che ho visto in fondo alla casa, in quella camera, in uno di quei giorni in cui io non lavoro». Nel 1926, con linguaggio molto in voga oggi, scriveva al gruppo, che era il primo a lasciare il ceppo iniziale di Alba, giunto da poco a Roma: «perciò cercate prima di essere, poi… ‘dapprima essere, poi operare’».  Verso la fine dei suoi giorni poteva scrivere: «Sono un miracolo di Dio! “per grazia di Dio sono quello che sono”. Io sono immedesimato a Cristo: i suoi interessi sono i miei; le sue intenzioni le mie; io parlo le sue parole; la mia dottrina è la sua; la mia vita è quella di Cristo; io compio le opere di Cristo: o meglio è Cristo che le compie per me…». E don Alberione non è stato certo un uomo dallo spiritualismo senza senso o senza concretezza.

Prima e appena dopo il Sinodo sulla vita consacrata celebrato nel 1994, quando vi erano forti speranze di una ripresa, la maggior parte degli esperti puntava lì: il rinnovamento parte da una spiritualità che incida su tutte le fibre dell’essere e dell’operare. Sono questi spazi personali di silenzio e di interiorità in cui si lascia piena libertà allo Spirito di agire, quelli che, se autentici, conducono alla comprensione di sé e di quello che il Signore può sognare per noi. Aiutano a capire cosa sia veramente l’essenziale.

ü      Creazione di comunità fraterne. Forse il termine non è esatto. La creazione suppone il nulla preesistente. I nostri Istituti sono formati da comunità che ne costituiscono le cellule fondamentali da sempre. Ma è permesso domandarsi: queste nostre comunità sono fraterne? In esse ci sono suore giovani e non più giovani che faticano parecchio, che patiscono, che, a un certo punto, perché non ce la fanno più, se ne vanno. Chiedono un trasferimento o addirittura il proscioglimento dagli impegni iniziali. Non vogliamo entrare nella casistica. E non pronunciamo giudizi. Però il fatto ci interpella fortemente. Qualcuno ci chiede: ma voi, cosa ne dite? Ci sembra che sulla vita di fraternità abbiamo già scritto molto. Non sarà sufficiente? Abbiamo scritto sulla valorizzazione delle risorse istituzionali e le persone sono le vere ricchezze di un Istituto. Juan Edmundo Vecchi, dal 1996 Rettor Maggiore dei salesiani, deceduto il 23 gennaio u.s., sosteneva che le «comunità devono essere il luogo di santificazione dei membri». Lo sono? Lo saranno soltanto se sapranno costruirsi, davvero, sulla Parola, attorno a Gesù Eucarestia; se sapranno dialogare con umiltà e verità; se sapranno gareggiare nel servizio, vivere in giustizia. I grandi conflitti cui stiamo assistendo hanno come radice il non amore alla verità, al perdono; la ricerca del possesso, della vendetta, del primeggiare. Per questo il papa ha dichiarato formalmente: «mai più guerre, mai più terrorismo», ma anche «pace e giustizia, perdono e vita, amore». Non si tratta di narcotizzare, ignorare o rimuovere, scansandoli, i conflitti; possono essere frutto di un sentire diverso. Ma il diverso sentire arricchisce, se affrontato nella verità, nella libertà di parola, nel rispetto, nell’accoglienza vera della diversità. Fermarsi soltanto a puntare sulle negatività può diventare masochismo. E’ necessario entrare per la porta o la via stretta della fatica, ma che immette sui risultati veri, perché duraturi. Le geremiadi alla lunga stancano e possono soltanto dar vita a persone rassegnate, ma non serene; obbedienti, ma non docili. Offrire insieme quel clima caldo, intenso, benevolo, che investe tutti con l’onda bella della vita, perché “la vita è bella davvero”! Per cui ognuno si sente a casa sua, responsabile e gentile.

ü      Attenzione autentica alla storia; inserimento vero tra le donne e gli uomini del nostro tempo. Attenzione alle problematiche; ma non solo a parole. Il che non significa esprimere sofferenza, indignazione, disagio di fronte ad alcune immagini che lo schermo televisivo ci butta davanti. Urge interrogarsi sullo stile e sui contenuti del proprio annuncio. Sull’incidenza che esso può avere sui destinatari; sulle formule e sulle nuove modalità, nuovi metodi e nuovi mezzi. Essere presenti nella storia comporta anche mettere a confronto il proprio stile di vita con lo stile che questa storia può esigere. Mettere in questione se stessi, prima di questionare gli altri. Paolo VI, con quella forte carica di umanità che lo distingueva, parlava della necessità di «camminare accanto all’uomo».

Giovanni Paolo II lo scopriamo sempre più immerso in Dio e perciò così immerso nelle problematiche, quasi innominabili in quanto sono gravi, tremende, assurde, paradossali, dell’uomo. Perché sta bene fare i conti con il passato e con il presente, ma bisogna, soprattutto, ragionare di futuro. Alla fine ciò che conta, e rimane, non sono le astratte dichiarazioni di principio o le mosse a effetto e neanche i successi tattici, ma i comportamenti concreti, le scelte strategiche sulla linea del Vangelo e perciò del carisma che è il Vangelo applicato al proprio Istituto. Insieme contribuire a far maturare e crescere una comunità, un Istituto unito, forse riconciliato nella piena consapevolezza delle comuni radici.

Avevamo già scritto. Ora l’Osservatore Romano del 3 febbraio u.s. riporta le parole del papa pronunciate il giorno precedente in San Pietro. Dopo aver ringraziato per quello che sono e quello che fanno, egli invita consacrate e consacrati a essere persone di “preghiera”, a offrire la “testimonianza della fraternità e della comunione” e a vivere “un fattivo impegno per la giustizia”...

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