Negli ultimi mesi dell’anno appena trascorso si è
svolto appunto un “Trimestre Sabbatico” per 58 Suore, presso la sede dell’Usmi
nazionale. La sua icona è quella del cammino verso l’interiorità, fatto con passi lineari di
conoscenza, di cultura spirituale, di attualità e di passi trasversali, ricchi
di esperienza di Dio, di contatto vivo con la sua Parola, nel discernimento e
accompagnamento spirituale.
Non può
mancare in esso un “pellegrinaggio” dai toni gioiosi e anche
austeri, a ritmo armonico con il pellegrinaggio all’interno di se
stessi.
La
meta prefissata è, inizialmente, quella della Turchia “sui passi di
Paolo e dei Padri della Chiesa”, certamente molto lusinghiera, molto
amata. Ma proprio l’indomani dell’inizio del “Trimestre
Sabbatico”, l’11 settembre,
mentre ciascuna aveva già pensato a passaporto, a domande e “visti”
presso le rispettive Ambasciate, l’attentato a Manhattan e il crollo
delle torri di Wall Street hanno messo letteralmente “in ginocchio”
le 58 Suore: tutto può diventare pericoloso, le minacce di guerra si
fanno sempre più incalzanti e prendono forma sempre più vera.
Lì,
“in ginocchio”, mentre si affida nella preghiera a Maria, Madre di
Misericordia, l’intera umanità e il suo nuovo, incerto corso, prende
consistenza l’idea di un diverso pellegrinaggio, meno rischioso,
proprio sulle orme di Maria,
apparsa a Fatima, e su quelle degli antichi e nuovi “romei”
che si recavano e tuttora vanno, in spirito di penitenza, con l’animo
di asceti, al Santuario di San Giacomo di Compostela, in Spagna.
E’
l’ora della preghiera silente e umile, nel coinvolgimento con la
sofferenza e il male, irrorando di luci di speranza e di risurrezione
tutto il mondo. La Chiesa, quella non appariscente, ma quella composta
da persone povere, oppresse, imploranti misericordia e pietà, è
l’incarnazione di Maria la “povera di Jahvè”, nella quale Egli ha
fatto opere grandi, rendendola Madre di tutti gli uomini, tutti redenti.
Con
questa certezza di avere come compagna di viaggio Maria, con questa
gioia interiore, con una gran voglia di preghiera, 46 Suore su 58
partiamo da Fiumicino per Lisbona, e quindi per Oporto, con un volo
della Varig: è il 30 ottobre 2001.
Arriviamo
a destinazione ed è ormai sera, ci è imbandita la cena tipica del
posto, con vista panoramica sulla città di Oporto che si presenta
bella, paragonabile alla nostra Milano. Una passeggiata fino al ponte
sulle sponde dell’Oceano calmo, sulle cui acque si specchiano luci
diverse, dando un senso di mistero e di allegria nello stesso tempo.
Un
lungo mattino in pullman aspetta il gruppo, attraversando parte del
Portogallo con i suoi larghi fiumi sui quali sono ferme delle zattere.
La natura è ancora tutta verde in questi posti e il clima è piacevole.
Si attraversano terre che hanno conosciuto dei grandi nomi: Ilario
di Poitiers, Martino di Tours,
personaggi santi, la cui vita e il pensiero sono così ben spiegati da don Antonio Bonato,
patrologo, invitato a stare con noi quale esperto e presbitero della
compagnia per le varie celebrazioni.
Il viaggio è
diretto a Santiago di Compostela: una grande tabella di confine dice che
si sta lasciando il Portogallo per la Spagna. La giovane ma competente
guida, Doriana, che ha fatto la storia di ogni luogo attraversato, deve
cedere la parola a un’altra guida, Jesùs, spagnolo.
A
lunghi passi tutte noi ci avviamo verso la Cattedrale, soffermandoci
presso monumenti, edifici importanti, chiese di lunga data, quali quelle
di S. Francesco, di Martino. Ci pare di rituffarci nella storia di
secoli gloriosi: tutto è imponente, antico, quasi ci sovrasta, ci mette
in un clima di timoroso silenzio e di serena contemplazione.
La
piovosa Santiago ci offre invece una giornata meravigliosa di sole e
possiamo immergere lo sguardo nella Cattedrale di S. Giacomo, in tutta
la sua maestosità, con altissime guglie, con porte diverse da cui
entravano ed entrano sommessi i pellegrini penitenti.
Finchè
Jesùs ci illustra la cattedrale dal lato sinistro, ecco giungere un
giovane pellegrino, con il suo impolverato zaino, con il volto a terra,
chiuso nella sua solitudine riparatrice e implorante… poi una giovane
pellegrina entra da un’altra porta: la sospirata meta è raggiunta,
ora la fede compirà il suo miracolo….
L’interno
della cattedrale è austero, ricco di statue che continuano a raccontare
la storia dei tempi. In fondo, una statua inginocchiata a terra: è
l’architetto della Cattedrale? E’ il pubblicano che si batte il
petto? Siamo tutti noi che domandiamo a Dio quello che Egli sa e ha già
conosciuto all’interno del nostro spirito?
Tocchiamo
con devozione, come tutti i pellegrini, l’urna di San Giacomo,
guardiamo stupite l’impianto del grande incensiere
(prezioso, conservato a parte) che nelle grandi solennità sarà fatto
oscillare sul capo dei fedeli, profumando l’ambiente di aroma e di
preghiera.
Intanto
si sta preparando per noi la Liturgia, concelebrata dal Parroco
di Santiago e dal nostro don
Antonio, in lingua spagnola e le “letture” sono fatte in quella
italiana. Ci sentiamo veramente ecumeniche in quel momento, un filo
d’oro di fede e di ecclesialità unisce Santiago a Roma.
Il
chiostro dell’Hotel dei Re ci presenta le sue bellezze, i suoi fiori, i
ricamati giardini, poi le lunghe e spaziose scale per l’accesso alle
stanze che un tempo hanno visto salire i re che dominavano nazioni e
colonie lontane.
Il
mattino seguente l’itinerario è quello di Coimbra, ma, nel tragitto,
incontriamo la bella città di Braga,
con la sua Cattedrale, il sarcofago del giovane figlio di Giovanni di
Braganza, poi il Santuario del “Bom
Jesus” con i suoi meravigliosi rilievi. Qui la S. Messa è
celebrata da don Antonio
ed è tutta per noi: è la festa
di tutti i Santi, nella visione della moltitudine infinita che canta
il “cantico nuovo”, che porta le palme della vittoria sul male. La
preghiera si fa intensa, nell’invocazione di quanti ci hanno
preceduto, hanno conosciuto la nostra terra e possono chiedere per essa
la pace.
All’esterno
del Santuario, sempre di pietra scura e austera, una meraviglia di
fontanelle, di fiori a cascatella. Domina il piazzale, che si raggiunge
con una larga scalinata, la statua di S.
Giorgio. La voglia di immortalare questi posti è sempre forte e
scattano copiose le foto di singole, di gruppetti, per ricordare una
gioia vissuta insieme.
Il
pullman ci dà una certa fretta: dobbiamo raggiungere Coimbra,
la città del grande Antonio,
la città dell’antica, stimata
Università che ancor oggi racconta la vita degli studenti, viventi
quasi in un collège, con tempi dediti allo studio, alla riflessione e
alla preghiera. C’è tutta una nota gesuitica in quel piazzale entro
il portico d’ingresso, preceduto da lunghi filari di alberi che
mestamente vedono cadere le loro ingiallite foglie, squadrato da edifici
ove è vissuta un’alta cultura.
C’è
ancora il campanile da cui
partivano i rintocchi che ritmavano i tempi degli studenti. Uno
studente odierno, con
l’antica divisa e il mantello tagliuzzato nell’orlo da amici (il
taglio più lungo fatto dalla fidanzata), è lì sulla porta
dell’Università, racconta la perenne storia e si presta per delle
foto ricordo con noi.
La
Cappella dell’Università è stupenda, troneggia sopra l’altare
la famosa scala in pietra, vista anche a Santiago, in cima alla quale si
espone il Santissimo, quasi ricordando il cammino sacro da compiere per
raggiungere la grazia che salva.
Le
canne dell’organo sono orizzontali, anche queste come quelle a
Santiago e altrove: sembrano le trombe angeliche che vogliono far
sentire forte l’alleluja della risurrezione di Cristo e nostra.
Nella
famosa Biblioteca si può accedere solo a piccoli gruppi: quanta cultura,
quanta scienza disposta su più piani visibili e che si possono
raggiungere attraverso piccole scale e nascoste porticine, a noi
vietate.
Tutto
è dorato, tutto porta i segni di una ricchezza che è venuta da oltre
Oceano, dal Brasile, terra invasa dai Portoghesi dopo la scoperta del
Continente Nuovo. Anche i tavoli sono di un legno pregiatissimo,
proveniente sempre dal Brasile.
Una
stranezza in quella Biblioteca
e che ci fa sorridere: ci sorvolano sulle teste dei pipistrelli:
sembrano quasi animali sacri nel tempio della cultura, animali da non
cacciare perché il loro compito è quello di distruggere i killer dei
libri, cioè gli insetti.
Mentre
ci si immerge in queste bellezze e rarità, un pensiero ci strugge
dentro: tutto questo splendore ha reso più povere, defraudate, quelle
terre scoperte che ancor oggi ne stanno pagando lo scotto. Bellezza e
tristezza si mescolano insieme, un sentimento dei contrari pervade
l’animo e si capisce che è bello gioire, mentre il cuore è accanto
al fratello povero e sfruttato per il quale è tutta la nostra
attenzione e carità di sorelle di ogni uomo del mondo.
Una
visione panoramica di Coimbra e poi non può mancare la visita al monastero
carmelitano ove vive ancora Lucia, una dei tre veggenti di Fatima.
Con lei non si può parlare, ma si può sostare nella cappella del
monastero, pregare insieme, dialogare brevemente con una consorella di
Lucia che ci dà di lei buone notizie.
E’
ormai inoltrato pomeriggio e l’ultima tappa diventa un desiderio
sempre più forte, reso più caldo dall’atmosfera della quieta sera: è
Fatima.
All’hotel
si cena e quindi, di corsa, si va alla grotta dell’apparizione.
Abbiamo la grande fortuna di partecipare alla
recita del Rosario e alla processione con la Vergine lungo il
tragitto ben delineato nel piazzale. Ciascuna ha in mano una piccola
torcia che innalza nel momento del canto dell’“Ave
Maria”, unica invocazione universale fra le strofe in lingua
diversa.
Subito
ci vengono a mente tutte le persone da affidare a Maria, tutti i
problemi da risolvere con Lei: c’è quasi il timore che il tempo sia
poco, di dimenticare qualcuno… ed allora la preghiera si fa più
intensa, consegnando alla Madre della Misericordia la nostra vita, le
nostre relazioni e affetti, le gravi situazioni del mondo a cui
apparteniamo e della Chiesa universale.
Si
sosta ancora presso la grotta, ma in silenzio, finché la stanchezza non
ci prende totalmente.
Il
mattino seguente la grotta è tutta per noi. Qui don Antonio celebra la
S. Messa per la vita religiosa, una liturgia eucaristica animata da noi,
dalle nostre invocazioni e canti in lingua italiana; l’omelia è ricca
di speranza, di abbandono a Dio, a Maria, è permeata di ecclesialità.
Quella
mattina è completamente libera: nessuna guida, ciascuna va verso poli
di attrazione personale: la
cappella dell’adorazione silenziosa, il Santuario, la lunga via
marmorea tracciata da poco per supplica in ginocchio, dall’inizio
del piazzale alla grotta dell’apparizione. Si gode un senso
di libertà: si può sostare a lungo in adorazione, sentendo che
Maria ci addita Gesù, si entra nel Santuario ove ci sono le tombe dei
beati pastorelli Francesco e Giacinta ed anche quella per Lucia.
Si scorgono
persone, sorelle che fanno la strada percorsa in ginocchio da Lucia per
ottenere la guarigione della mamma.
Colpisce
una giovane signora che fa quella via sorretta dai due piccoli figli: il
volto è rigato di lacrime, il respiro è affaticato. Che cosa porta
dentro quella donna? E spontaneamente ci si sente di unirsi alla sua
supplica per le sue medesime intenzioni.
Una
luce solare meravigliosa in quel mattino a Fatima, quasi presagendo a
qualcosa di nuovo che sta nascendo dentro di noi, conosciuto
segretamente da noi e da quel Dio che è Padre, da quella Madre da cui
ci si sente amati.
Non
doveva mai finire quella mattina: ciascuna se l’è scolpita dentro per
viverla come lungo giorno che mai tramonta.
Nel
pomeriggio, un excursus presso le
povere case dei “pastorelli”, ove abbiamo anche incontrato
alcuni loro fortunati parenti, abbiamo percorso la
“Via Crucis”, i luoghi dell’apparizione dell’Angelo.
Il sole faceva capolino tra il fogliame autunnale infondendoci speranza
e allegria.
Poi,
ancora in pullman: destinazione Carcavelos,
città vicina a Lisbona, ove l’indomani avremmo ripreso l’aereo per
Roma. Passiamo per Carcais,
la dimora di esilio del nostro ultimo re di Casa
Savoia, Umberto II. Non è una nota vaga e indifferente: anche lì
è pulsato un cuore italiano, anche lì si è consumata una solitudine,
una storia italica con i suoi chiaroscuri.
Non
è ancora l’alba e il volo ci attende a Lisbona. Partiamo da
Carcavelos: il sonno interrotto di una breve notte, una tacita nostalgia
che abbiamo imparato a chiamare “saudade” in portoghese, ci mettono
in silenzio, poi… la preghiera che saluta il nuovo giorno, i
ringraziamenti reciproci, festosi e sinceri, il nostro canto alla
Vergine di Fatima, quasi richiamando quello poetico carducciano:
“Ave Maria!
Quando sull’aure corre l’umil saluto
i piccioli mortali scovrono il capo
curvano la fronte Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
Passa invisibil tra la terra ed il
cielo….”
(Carducci: “La Chiesa di Polenta)
Arrivederci Fatima! Arrivederci sorelle!
 |