n. 3
marzo 2002

 

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Il "Trimestre Sabbatico" in pellegrinaggio
a Santiago di Compostela e a Fatima

di Giampaola Periotto

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Negli ultimi mesi dell’anno appena trascorso si è svolto appunto un “Trimestre Sabbatico” per 58 Suore, presso la sede dell’Usmi nazionale. La sua icona è quella del cammino verso l’interiorità, fatto con passi lineari di conoscenza, di cultura spirituale, di attualità e di passi trasversali, ricchi di esperienza di Dio, di contatto vivo con la sua Parola, nel discernimento e accompagnamento spirituale.

Non può mancare in esso un “pellegrinaggio” dai toni gioiosi e anche austeri, a ritmo armonico con il pellegrinaggio all’interno di se stessi.

La meta prefissata è, inizialmente, quella della Turchia “sui passi di Paolo e dei Padri della Chiesa”, certamente molto lusinghiera, molto amata. Ma proprio l’indomani dell’inizio del “Trimestre Sabbatico”, l’11 settembre, mentre ciascuna aveva già pensato a passaporto, a domande e “visti” presso le rispettive Ambasciate, l’attentato a Manhattan e il crollo delle torri di Wall Street hanno messo letteralmente “in ginocchio” le 58 Suore: tutto può diventare pericoloso, le minacce di guerra si fanno sempre più incalzanti e prendono forma sempre più vera.

Lì, “in ginocchio”, mentre si affida nella preghiera a Maria, Madre di Misericordia, l’intera umanità e il suo nuovo, incerto corso, prende consistenza l’idea di un diverso pellegrinaggio, meno rischioso, proprio sulle orme di Maria, apparsa a Fatima, e su quelle degli antichi e nuovi “romei” che si recavano e tuttora vanno, in spirito di penitenza, con l’animo di asceti, al Santuario di San Giacomo di Compostela, in Spagna.

E’ l’ora della preghiera silente e umile, nel coinvolgimento con la sofferenza e il male, irrorando di luci di speranza e di risurrezione tutto il mondo. La Chiesa, quella non appariscente, ma quella composta da persone povere, oppresse, imploranti misericordia e pietà, è l’incarnazione di Maria la “povera di Jahvè”, nella quale Egli ha fatto opere grandi, rendendola Madre di tutti gli uomini, tutti redenti.

Con questa certezza di avere come compagna di viaggio Maria, con questa gioia interiore, con una gran voglia di preghiera, 46 Suore su 58 partiamo da Fiumicino per Lisbona, e quindi per Oporto, con un volo della Varig: è il 30 ottobre 2001.

Arriviamo a destinazione ed è ormai sera, ci è imbandita la cena tipica del posto, con vista panoramica sulla città di Oporto che si presenta bella, paragonabile alla nostra Milano. Una passeggiata fino al ponte sulle sponde dell’Oceano calmo, sulle cui acque si specchiano luci diverse, dando un senso di mistero e di allegria nello stesso tempo.

Un lungo mattino in pullman aspetta il gruppo, attraversando parte del Portogallo con i suoi larghi fiumi sui quali sono ferme delle zattere. La natura è ancora tutta verde in questi posti e il clima è piacevole. Si attraversano terre che hanno conosciuto dei grandi nomi: Ilario di Poitiers, Martino di Tours, personaggi santi, la cui vita e il pensiero sono così ben spiegati da don Antonio Bonato, patrologo, invitato a stare con noi quale esperto e presbitero della compagnia per le varie celebrazioni.

Il viaggio è diretto a Santiago di Compostela: una grande tabella di confine dice che si sta lasciando il Portogallo per la Spagna. La giovane ma competente guida, Doriana, che ha fatto la storia di ogni luogo attraversato, deve cedere la parola a un’altra guida, Jesùs, spagnolo.

A lunghi passi tutte noi ci avviamo verso la Cattedrale, soffermandoci presso monumenti, edifici importanti, chiese di lunga data, quali quelle di S. Francesco, di Martino. Ci pare di rituffarci nella storia di secoli gloriosi: tutto è imponente, antico, quasi ci sovrasta, ci mette in un clima di timoroso silenzio e di serena contemplazione.

La piovosa Santiago ci offre invece una giornata meravigliosa di sole e possiamo immergere lo sguardo nella Cattedrale di S. Giacomo, in tutta la sua maestosità, con altissime guglie, con porte diverse da cui entravano ed entrano sommessi i pellegrini penitenti.

Finchè Jesùs ci illustra la cattedrale dal lato sinistro, ecco giungere un giovane pellegrino, con il suo impolverato zaino, con il volto a terra, chiuso nella sua solitudine riparatrice e implorante… poi una giovane pellegrina entra da un’altra porta: la sospirata meta è raggiunta, ora la fede compirà il suo miracolo….

L’interno della cattedrale è austero, ricco di statue che continuano a raccontare la storia dei tempi. In fondo, una statua inginocchiata a terra: è l’architetto della Cattedrale? E’ il pubblicano che si batte il petto? Siamo tutti noi che domandiamo a Dio quello che Egli sa e ha già conosciuto all’interno del nostro spirito?

Tocchiamo con devozione, come tutti i pellegrini, l’urna di San Giacomo, guardiamo stupite l’impianto del grande incensiere (prezioso, conservato a parte) che nelle grandi solennità sarà fatto oscillare sul capo dei fedeli, profumando l’ambiente di aroma e di preghiera.

Intanto si sta preparando per noi la Liturgia, concelebrata dal Parroco di Santiago e dal nostro don Antonio, in lingua spagnola e le “letture” sono fatte in quella italiana. Ci sentiamo veramente ecumeniche in quel momento, un filo d’oro di fede e di ecclesialità unisce Santiago a Roma.

Il chiostro dell’Hotel dei Re ci presenta le sue bellezze, i suoi fiori, i ricamati giardini, poi le lunghe e spaziose scale per l’accesso alle stanze che un tempo hanno visto salire i re che dominavano nazioni e colonie lontane.

Il mattino seguente l’itinerario è quello di Coimbra, ma, nel tragitto, incontriamo la bella città di Braga, con la sua Cattedrale, il sarcofago del giovane figlio di Giovanni di Braganza, poi il Santuario del “Bom Jesus” con i suoi meravigliosi rilievi. Qui la S. Messa è celebrata da don Antonio ed è tutta per noi: è la festa di tutti i Santi, nella visione della moltitudine infinita che canta il “cantico nuovo”, che porta le palme della vittoria sul male. La preghiera si fa intensa, nell’invocazione di quanti ci hanno preceduto, hanno conosciuto la nostra terra e possono chiedere per essa la pace.

All’esterno del Santuario, sempre di pietra scura e austera, una meraviglia di fontanelle, di fiori a cascatella. Domina il piazzale, che si raggiunge con una larga scalinata, la statua di S. Giorgio. La voglia di immortalare questi posti è sempre forte e scattano copiose le foto di singole, di gruppetti, per ricordare una gioia vissuta insieme.

Il pullman ci dà una certa fretta: dobbiamo raggiungere Coimbra, la città del grande Antonio, la città dell’antica, stimata Università che ancor oggi racconta la vita degli studenti, viventi quasi in un collège, con tempi dediti allo studio, alla riflessione e alla preghiera. C’è tutta una nota gesuitica in quel piazzale entro il portico d’ingresso, preceduto da lunghi filari di alberi che mestamente vedono cadere le loro ingiallite foglie, squadrato da edifici ove è vissuta un’alta cultura.

C’è ancora il campanile da cui partivano i rintocchi che ritmavano i tempi degli studenti. Uno studente odierno, con l’antica divisa e il mantello tagliuzzato nell’orlo da amici (il taglio più lungo fatto dalla fidanzata), è lì sulla porta dell’Università, racconta la perenne storia e si presta per delle foto ricordo con noi.

La Cappella dell’Università è stupenda, troneggia sopra l’altare la famosa scala in pietra, vista anche a Santiago, in cima alla quale si espone il Santissimo, quasi ricordando il cammino sacro da compiere per raggiungere la grazia che salva.

Le canne dell’organo sono orizzontali, anche queste come quelle a Santiago e altrove: sembrano le trombe angeliche che vogliono far sentire forte l’alleluja della risurrezione di Cristo e nostra.

Nella famosa Biblioteca si può accedere solo a piccoli gruppi: quanta cultura, quanta scienza disposta su più piani visibili e che si possono raggiungere attraverso piccole scale e nascoste porticine, a noi vietate.

Tutto è dorato, tutto porta i segni di una ricchezza che è venuta da oltre Oceano, dal Brasile, terra invasa dai Portoghesi dopo la scoperta del Continente Nuovo. Anche i tavoli sono di un legno pregiatissimo, proveniente sempre dal Brasile.

Una stranezza in quella Biblioteca e che ci fa sorridere: ci sorvolano sulle teste dei pipistrelli: sembrano quasi animali sacri nel tempio della cultura, animali da non cacciare perché il loro compito è quello di distruggere i killer dei libri, cioè gli insetti.

Mentre ci si immerge in queste bellezze e rarità, un pensiero ci strugge dentro: tutto questo splendore ha reso più povere, defraudate, quelle terre scoperte che ancor oggi ne stanno pagando lo scotto. Bellezza e tristezza si mescolano insieme, un sentimento dei contrari pervade l’animo e si capisce che è bello gioire, mentre il cuore è accanto al fratello povero e sfruttato per il quale è tutta la nostra attenzione e carità di sorelle di ogni uomo del mondo.

Una visione panoramica di Coimbra e poi non può mancare la visita al monastero carmelitano ove vive ancora Lucia, una dei tre veggenti di Fatima. Con lei non si può parlare, ma si può sostare nella cappella del monastero, pregare insieme, dialogare brevemente con una consorella di Lucia che ci dà di lei buone notizie.

E’ ormai inoltrato pomeriggio e l’ultima tappa diventa un desiderio sempre più forte, reso più caldo dall’atmosfera della quieta sera: è Fatima.

All’hotel si cena e quindi, di corsa, si va alla grotta dell’apparizione. Abbiamo la grande fortuna di partecipare alla recita del Rosario e alla processione con la Vergine lungo il tragitto ben delineato nel piazzale. Ciascuna ha in mano una piccola torcia che innalza nel momento del canto dell’“Ave Maria”, unica invocazione universale fra le strofe in lingua diversa.

Subito ci vengono a mente tutte le persone da affidare a Maria, tutti i problemi da risolvere con Lei: c’è quasi il timore che il tempo sia poco, di dimenticare qualcuno… ed allora la preghiera si fa più intensa, consegnando alla Madre della Misericordia la nostra vita, le nostre relazioni e affetti, le gravi situazioni del mondo a cui apparteniamo e della Chiesa universale.

Si sosta ancora presso la grotta, ma in silenzio, finché la stanchezza non ci prende totalmente.

Il mattino seguente la grotta è tutta per noi. Qui don Antonio celebra la S. Messa per la vita religiosa, una liturgia eucaristica animata da noi, dalle nostre invocazioni e canti in lingua italiana; l’omelia è ricca di speranza, di abbandono a Dio, a Maria, è permeata di ecclesialità.

 Quella mattina è completamente libera: nessuna guida, ciascuna va verso poli di attrazione personale: la cappella dell’adorazione silenziosa, il Santuario, la lunga via marmorea tracciata da poco per supplica in ginocchio, dall’inizio del piazzale alla grotta dell’apparizione. Si gode un senso di libertà: si può sostare a lungo in adorazione, sentendo che Maria ci addita Gesù, si entra nel Santuario ove ci sono le tombe dei beati pastorelli Francesco e Giacinta ed anche quella per Lucia.

Si scorgono persone, sorelle che fanno la strada percorsa in ginocchio da Lucia per ottenere la guarigione della mamma.

Colpisce una giovane signora che fa quella via sorretta dai due piccoli figli: il volto è rigato di lacrime, il respiro è affaticato. Che cosa porta dentro quella donna? E spontaneamente ci si sente di unirsi alla sua supplica per le sue medesime intenzioni.

Una luce solare meravigliosa in quel mattino a Fatima, quasi presagendo a qualcosa di nuovo che sta nascendo dentro di noi, conosciuto segretamente da noi e da quel Dio che è Padre, da quella Madre da cui ci si sente amati.

Non doveva mai finire quella mattina: ciascuna se l’è scolpita dentro per viverla come lungo giorno che mai tramonta.

Nel pomeriggio, un excursus presso le povere case dei “pastorelli”, ove abbiamo anche incontrato alcuni loro fortunati parenti, abbiamo percorso la “Via Crucis”, i luoghi dell’apparizione dell’Angelo. Il sole faceva capolino tra il fogliame autunnale infondendoci speranza e allegria.

Poi, ancora in pullman: destinazione Carcavelos, città vicina a Lisbona, ove l’indomani avremmo ripreso l’aereo per Roma. Passiamo per Carcais, la dimora di esilio del nostro ultimo re di Casa Savoia, Umberto II. Non è una nota vaga e indifferente: anche lì è pulsato un cuore italiano, anche lì si è consumata una solitudine, una storia italica con i suoi chiaroscuri.

Non è ancora l’alba e il volo ci attende a Lisbona. Partiamo da Carcavelos: il sonno interrotto di una breve notte, una tacita nostalgia che abbiamo imparato a chiamare “saudade” in portoghese, ci mettono in silenzio, poi… la preghiera che saluta il nuovo giorno, i ringraziamenti reciproci, festosi e sinceri, il nostro canto alla Vergine di Fatima, quasi richiamando quello poetico carducciano:

“Ave Maria!
Quando sull’aure corre l’umil saluto
i piccioli mortali scovrono il capo
curvano la fronte Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
Passa invisibil tra la terra ed il cielo….”
  (Carducci: “La Chiesa di Polenta)

Arrivederci Fatima! Arrivederci sorelle!

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